La vendetta è un piatto che va gustato freddo, anzi, in salsa catalana. Fino a poche settimane fa, il braccio di ferro tra il governo centrale di Madrid e quello catalano di Barcellona si era concluso con il leader secessionista, Carles Puigdemont, in fuga dopo aver dichiarato, forse frettolosamente, l’indipendenza della regione. Un quadro un po’ grottesco se si pensa che altri elementi della sua giunta regionale, come Oriol Junqueras, stanno ancora giacendo in carcere dopo aver scelto di difendere l’indipendenza rimanendo fieramente in territorio spagnolo e rischiano, a causa dell’ormai famoso articolo 155 della costituzione spagnola, fino a 30 anni di carcere per sedizione e ribellione nei confronti delle autorità centrali dello stato spagnolo. Nonostante il caos delle ultime settimane, tuttavia, e nonostante l’ingente quantità di risorse, economiche ed umane, che i partiti di centro-destra, tradizionali o neo-costituiti, hanno investito nella campagna elettorale, le urne hanno dato ragione a Puigdemont.
RAJOY ESILIATO POLITICAMENTE DALLA CATALOGNA. Azzerato, disintegrato, umiliato, trovatelo voi l’aggettivo più adatto. Il partito di governo, un governo di minoranza sempre più traballante, esce dalle elezioni regionali catalane con le ossa polverizzate. Il partito popolare ottiene infatti solo 4 seggi condannandosi all’irrilevanza politica rispetto all’ottimo risultato di “Ciudadanos” del giovane rampante Albert Rivera, una formazione di centro-destra moderna e contraria alla secessione che diventa il primo partito catalano con 37 seggi. Ciudadanos schierava in queste elezioni la leader andalusa Inés Arrimadas, giovane e passionaria, che forte del risultato elettorale ha dichiarato che il suo movimento è il vero vincitore di questa tornata elettorale e reclamerà un ruolo da protagonista nella formazione della giunta di governo. Al di là dei toni trionfalistici di circostanza, non si può negare che il risultato politico più importante sia proprio quello ottenuto da Ciudadanos che minaccia di incidere anche sui fragili equilibri nazionali che la Spagna ha trovato faticosamente dopo un terribile periodo di incertezza elettorale che ha portato gli spagnoli alle urne più volte nel giro di pochissimi mesi nel recente passato. Si materializza così la vendetta di Puigdemont sul vecchio lupo della politica spagnola Rajoy, sempre più isolato e con lo spettro di una crisi di governo che aleggia dietro le sue porte. L’opinione pubblica non gli ha certo perdonato l’utilizzo smodato della forza, un pugno di ferro che si è tradotto in immagini indegne di uno stato di diritto, rimbalzate sulle testate di stampa più importanti d’Europa e del mondo. Una caduta di stile più che una prova di forza, tornata indietro con la forza di un boomerang politico.
TRA INTEGRAZIONE EUROPEA E INDIPENDENTISMO. Le ultime vicende rilanciate dai media sulla Catalogna ci inducono ad una nuova riflessione sui temi dell’integrazione europea. Come sarà possibile far convivere e portare avanti il progetto di una UE più forte e coesa con le spinte indipendentiste che provengono da varie regioni come appunto la Catalogna o la regione basca o da tutte le altre realtà che insistono in diversi stati europei? Concedere l’indipendenza ad una soltanto di queste regioni aprirebbe la strada ad altre rivendicazioni politiche in un effetto domino che potrebbe minacciare l’esistenza stessa dell’Unione così come degli Stati nazionali che la compongono. La questione politica è delle più delicate e, se da un lato il riconoscimento di maggiori forme di autonomia potrebbe allentare la tensione tra le parti, dall’altro è bene che secessionisti ed indipendentisti d’Europa capiscano l’impraticabilità delle proprie velleità in un contesto globalizzato che stritolerebbe, da un punto di vista economico, entità così piccole una volta distaccatesi dai rispettivi stati nazionali ed eventualmente anche dall’UE.