Una donna con le palle. Per quanto la definizione possa risultare figurativamente poco elegante e lusinghiera, la Sabina Guzzanti che incontriamo a margine del Taormina Film Fest è di difficile descrizione: cordiale, estremamente franca, intellettualmente onesta e decisamente esplicita. Si assume sempre la responsabilità di quello che dice e non ha remore di sorta nel farlo. Non ha certo bisogno di dar prova del carisma di donna impegnata e di sinistra, ma basta lo scambio di qualche parola per avere un quadro a tutto tondo di una professionista che, senza una parola mai fuori posto, si esprime puntuale e con cognizione di causa. Diverte e si diverte. Con garbo ed eleganza. Incornicia il ritratto di altri ma non esita nemmeno un attimo nel partecipare il proprio punto di vista. L’acume politico per interpretare il mondo che la circonda, in chiave comica e satirica, non le è mai mancato. Una scelta insolita – la satira – dopo gli studi in accademia di arte drammatica e dopo «essersi rotta le palle» per due anni con l’Alfieri in versi. Forse non troppo avvezza alla tradizione, nel 1986 vince un provino per la Tv ma, nemmeno il tempo, viene subito censurata. È appena ventiduenne quando sbanca in teatro con pezzi comici e si riscatta sul piccolo schermo grazie alle imitazioni, meno “intellettuali” rispetto ai primi lavori con il fratello Corrado. La stagione “mani pulite” la vera rivoluzione copernicana: un’appassionata sterzata verso la satira politica, un pubblico interessato e l’esplorazione dei confini tra ciò che può essere detto e ciò che già al tempo costava una gastrite al preposto funzionario della Rai. Un’epoca, tuttavia, ancora civile e democratica nel ricordo della Guzzanti. Da scenario politico appassionante a nauseante, però, il passo è breve: l’ostracismo nel 2003 e il cinema per raccontare proprio la censura. Se per la Guzzanti «la presa in giro è un gesto di compassione», non sono dello stesso parere i caricaturati. Alla domanda «qual è il processo con cui prepari le imitazioni?», una piccante Guzzanti ironizza: «Il processo viene dopo l’imitazione, in tribunale». Poi le incursioni nel cinema, nella finzione e nel documentario. Ma la satira è il grande amore di sempre, rinnovato con il Tg Porco sostenuto col crowdfunding. Un meccanismo mimetico che scatta dopo uno scrupoloso studio “a pezzi” della gestualità, della voce, delle movenze. Il destinatario della satira non è l’imitato e poco importa se a questo non diverte: «Mi sentirei parecchio a disagio – dice con franchezza – a salutare Salvini dopo averlo preso per il culo». E di Giorgia Meloni, dietro nostra richiesta, Sabina Guzzanti ha improvvisato un’estemporanea imitazione prima di fermarsi per una breve chiacchierata.
Un percorso artistico dagli anni ’80 fino ai giorni nostri, da “La Tv delle ragazze”, alle imitazioni, la satira, il documentario, i film. Qual è la vera anima di Sabina Guzzanti?
«Non credo che l’anima si possa identificare con un lavoro. Che sia cinema, teatro o televisione è pur sempre spettacolo. Personalmente preferisco il primo. Io non penso di avere un’anima. Così come ormai non l’ha più nemmeno il web, che nasceva come una forma di espressione libera e che invece oggi è condizionato dalle multinazionali. Non si sta certo andando verso una buona direzione. La maggior parte delle persone poi oggi non naviga sul web ma si intrattiene sui social, che ci addestrano a far guadagnare altri. Il dibattito che si tiene lì è di pessima qualità, non indipendente ma influenzato dalla tv. Basta pensare che gli hashtag sono sempre legati al commento di fatti trattati in tv. Per carità, il Tg Porco è stata una bella esperienza. Ma è sbagliato pensare che il web possa costituire un’alternativa alla tv, perché dal punto di vista economico si tratta di puro volontariato».
Manca dalla televisione ormai da tanti anni. Com’è cambiata la libertà di stampa e di espressione nel nostro Paese?
«La televisione, così come tutto ciò che riguarda lo spettacolo, è impossibile da fare in proprio. È cambiata moltissimo e questo è sotto gli occhi di tutti. La Rai è stata distrutta. È impressionante il fatto che per sapere cosa succede si debba guardare La7, una televisione privata. Al di là delle censure che sono sempre più assurde e sfrontate, il servizio pubblico è stato smantellato. Non ci metto piede da tanto tempo. Non vado in Rai dal 2003, con la sola eccezione di qualche volta che sono stata ospite. Mi ha impressionata già solo l’aspetto di via Teulada, con le crepe nei muri, i fili penzoloni, un reparto costumi che non esiste più. Ricordo che una volta cercavo un po’ di gommapiuma e c’erano rimasti solo degli enormi sacchi di spille da balia. Sembra che tutto questo sia stato fatto appositamente. Il servizio pubblico dovrebbe essere un bene democratico. A giudicare dai palinsesti la qualità lascia parecchio a desiderare».
Beppe Grillo e l’impegno in prima persona di un comico in politica. Lei, al suo posto, lo avrebbe fatto?
«Sinceramente ho difficoltà a esprimermi in materia. Mi sembra che tutto l’argomento 5 Stelle sia tanto complesso e inquietante. Ultimamente cose positive ne vedo ben poche, anzi tutt’altro. Non penso possa ridursi tutto alla scelta di un comico di fare politica. Anche perché alla fine Beppe Grillo, più che un leader, è stato un testimonial. Poi vabbè, non mi piace questo nuovo governo. Lo trovo spaventoso, obiettivamente. Ma del resto è quello che ci tocca, in assenza di alternative».
Con “La trattativa” ha adottato una nuova forma per il cinema di denuncia, diversa tanto dall’inchiesta giornalistica quanto dalla ricostruzione filmata. Un po’ come Elio Petri per “Tre ipotesi sulla morte di Giuseppe Pinelli”.
«Ogni lavoro deve trovare il proprio linguaggio e questo dipende dalla natura di cosa si sta facendo. Ho appena finito una tournée durata tre anni. Al momento sto scrivendo un lavoro per il cinema, una storia molto articolata, un po’ fantascientifica. Mi ha appassionato l’idea di questo progetto e sono ancora in fase di elaborazione. Devo prima finire e poi tenterò di capire che cosa se ne può ricavare».
C’è qualche personaggio che le piacerebbe interpretare satiricamente?
«Quando ti metti a fare satira vanno bene tutti. È il criterio con cui scegli i personaggi a fare la differenza. Li scegli in base al fatto che è quello che l’ha sparata più grossa, che fa più ridere per le caratteristiche o perché è più rappresentativo di un determinato modo di pensare. Boschi e Meloni sono esplicative. Le donne che c’erano prima, per quanto non contassero tantissimo, sono quasi sparite e toccherà ricominciare a fare gli uomini. Nei congiuntivi di Gigi Di Maio, ad esempio, non trovo nulla di eccezionale. È una satira sbagliata, un po’ snob. E poi diciamolo, i congiuntivi non li usa più nessuno. Fargli le pulci per questi peccatucci veniali significa poi non portare l’attenzione su altri aspetti. Trovo interessanti donne come Theresa May ma si pone il problema della lingua e risulterebbe un po’ ridicolo lo slang italianizzato. Per il resto, ho delle remore nell’annunciare un’imitazione prima di averla fatta. Perché poi magari non piace o non viene come l’avevi pensata. Gli spunti comunque fortunatamente non mancano».