Ne è passato di tempo da quando la famiglia Benetton vendeva i suoi colorati maglioni nei negozi del Veneto. L’azienda è ormai una multinazionale e la vendita dei capi d’abbigliamento non è più la principale attività: i Benetton hanno ampliato i propri interessi e costruito una immensa rete di partecipazioni. Edizione Srl, la holding finanziaria di famiglia, oltre ad essere proprietaria del marchio tessile, detiene il 100% di Schema34, la holding che controlla la rete di ristorazione Autogrill e il 100% di Sintonia Srl, holding che controlla il 30,25% di Atlantia, società che a sua volta detiene l’88.06% di Autostrade per l’Italia. Atlantia gestisce 2.855 km di rete autostradale e ha 5.498 dipendenti. Il gruppo però gestisce anche la Società Italiana per il Traforo del Monte Bianco, e poco meno di 200 km di tratte autostradali ripartite tra il Raccordo Autostradale Valle d’Aosta, la Società Autostrada Tirrenica, Autostrade meridionali e la Tangenziale di Napoli. Di fatto i Benetton controllano la quasi maggioranza dei circa seimila chilometri di autostrade italiane, tra cui anche l’A10 ed il ponte Morandi crollato il 14 agosto.
LA PRIVATIZZAZIONE. Le accuse del governo hanno riportato di attualità il tema della privatizzazione delle concessioni autostradali, il meccanismo con il quale alla fine degli anni Novanta venne affidata ai privati la gestione di gran parte della rete autostradale italiana. Era il 1999 quando l’Iri, l’istituto per la Ricostruzione Industriale, decide di privatizzare una serie di asset, tra cui la Società Autostrade passando dal pubblico al privato. La proprietà della rete resta dello Stato, al quale viene corrisposto un canone, ma la gestione e la manutenzione, remunerate dalle tariffe, passano a delle società concessionarie. È il momento in cui subentra con il 30% un nucleo di azionisti privati, riuniti nella Società Schemaventotto Spa che fa capo alla famiglia Benetton.
LA MOSSA STRATEGICA DEL GRUPPO BENETTON. Come ricorda Giorgio Ragazzi, autore del saggio “I signori delle autostrade”, Schemaventotto «versa 2,5 miliardi per rilevare il 30% della società. Nei cinque anni successivi i pedaggi aumentarono del 21%, con un incasso complessivo di oltre 11 miliardi, mentre gli investimenti venivano contenuti al minimo, appena il 16% di quanto previsto nella convenzione». Si creava quindi un’ampia disponibilità economica che consentiva alla Schemaventotto di lanciare un’Opa totalitaria sulla Autostrade che si concludeva, nel febbraio 2003, portando la quota di Schemaventotto all’84% circa. Questo acquisto, costato circa 6 miliardi, venne finanziato interamente a debito tramite una società veicolo poi fusa in Autostrade: così Schemaventotto passò dal 30 all’84% della Autostrade senza sborsare un euro, accollando alla società un debito che questa avrebbe ripagato coi pedaggi. Successivamente, Schemaventotto fece cassa cedendo le quote in esubero rispetto a quanto opportuno per mantenere il controllo (51%) e così, dopo appena tre anni, recuperò quasi interamente quanto pagato all’Iri, restando però al controllo di una società con davanti ancora 30 anni di concessione.