Un anno di governo. Un anno di polemiche, rivalse e accuse reciproche tra gli alleati. Il premier Conte prende la parola, in un’attesa conferenza stampa, per dire basta. Basta al clima da campagna elettorale. Basta ingerenze dei ministri in aree non di loro competenza. Basta provocazioni. Ed evoca le dimissioni: «Non vivacchio, o si va avanti o rimetto il mandato», ha detto Conte. Parla agli italiani, ma l’aut aut è rivolto alle forze politiche che sostengono il suo governo: «Chiedo una risposta chiara, inequivoca e rapida. Il Paese non può attendere». «Personalmente resto disponibile a lavorare nella massima determinazione di un percorso di cambiamento. Ma non posso compiere questa scelta da solo. Le due forze politiche devono essere consapevoli del loro compito».
Parte piano, il presidente del Consiglio Conte. Da una parte difende l’operato del suo esecutivo: «In questo anno abbiamo realizzato misure per rispondere soprattutto alle esigenze sociali dei cittadini, da quota cento al reddito di cittadinanza». Ma dall’altro dice che avanti così non si può andare: «I provvedimenti che il governo deve mettere in campo richiedono visione, coraggio, tempo, impongono di uscire dalla dimensione della campagna elettorale e entrare in una visione strategica e lungimirante, diversa dal collezionare like nella moderna agorà digitale. Purtroppo il clima elettorale non si è ancora spento, è un clima che non giova all’azione di governo. Se continuiamo nelle provocazioni per mezzo di veline quotidiane, nelle freddure a mezzo social, non possiamo lavorare. I perenni costanti conflitti comunicativi pregiudicano la concentrazione sul lavoro. Io stesso voglio impegnarmi di più ma le polemiche inutili sottraggono energie preziose. Per questo mi rivolgo direttamente ai cittadini. Abbiamo promesso che questo è il governo del cambiamento, e posso ribadire che sino all’ultimo giorno lo sarà negli intenti e nella determinazione con cui perseguiremo i vostri interessi».
Per tutta la conferenza stampa Conte ha provato ad accreditare l’immagine di se stesso come premier super partes: «Non ho mai giurato fedeltà né mi è stata chiesta alcuna attestazione di fedeltà dal Movimento Cinque Stelle», ha detto. «Ho interpretato che fosse un movimento sano – ha aggiunto – ma non mi sono mai iscritto, sono un indipendente» Poi da premier, «legittimamente possono attribuirmi una targa, ma io sono a posto con la mia coscienza». Anzi, come premier «ci sono stati momenti in cui esponenti 5 stelle sono rimasti dispiaciuti per tante decisioni che ho preso». E sicuramente non piacerà ai Cinquestelle la posizione del premier sulla Tav: «Ho detto che la Tav oggi così com’è non la farei. Non la trovo conveniente ma mi ritrovo in fase di attuazione del percorso e o trovo un’intesa con la Francia e la Commissione europea o il percorso è bello e segnato».
E mentre il premier è ancora davanti ai giornalisti, il vicepremier leghista Matteo Salvini già commenta su Facebook: «Noi non abbiamo mai smesso di lavorare, evitando di rispondere a polemiche e anche insulti, e gli Italiani ce lo hanno riconosciuto con 9 milioni di voti domenica». Non solo: «L’Italia dei Sì è la strada giusta. Flat Tax e taglio delle tasse, riforma della giustizia, Decreto Sicurezza Bis, autonomia regionale, rilancio degli investimenti, revisione dei vincoli europei e superamento dell’austerità e della precarietà, apertura di tutti i cantieri fermi: noi siamo pronti, vogliamo andare avanti e non abbiamo tempo da perdere, la Lega c’è».