«Il titolo “The Joshua Tree” si addice a un album che verte sulla capacità di ripresa di fronte a una forte desolazione politica e sociale… “The Joshua Tree” è la risposta a questi tempi e l’immagine più desolante mai descritta dagli U2: una visione di speranze devastate, violenza senza senso e angoscia… Musica di profonda tristezza ma anche di inesprimibile compassione, accettazione e calma». Così scriveva nel 1987 l’autorevole rivista americana Rolling Stone.
Trent’anni dopo «sembra che siamo tornati al punto di partenza, al periodo in cui le canzoni di “The Joshua Tree” furono scritte, con disordini globali, partiti politici di estrema destra e alcuni dei più importanti diritti umani a rischio» commentava The Edge giustificando la decisione di celebrare lo storico album con tour mondiale, piuttosto che dedicarsi al capitolo successivo di “The songs of innocence”. «Visto che le canzoni sembrano così adatte a questi tempi – spiegava il chitarrista – abbiamo deciso di fare questi concerti, ci pare il momento giusto».
LEGGI ANCHE: La missione degli U2: superare caos e terrore
In tempi di Brexit, Trump, avanzata di populismi e razzismi, di “fake news” e “post verità”, “The Joshua Tree” ridiventa attuale non soltanto nei suoni. «Recentemente l’ho riascoltato per la prima volta dopo quasi trent’anni… è come un’opera» commentava Bono alla vigilia del tour. «Tante emozioni che sono stranamente attuali: l’amore, la perdita, i sogni spezzati, la ricerca dell’oblio, la polarizzazione… tutti i grandi temi… Ho cantato molte di queste canzoni diverse volte… ma mai tutte».
Un tour celebrativo in giro per il mondo per risuonare per intero lo storico album. Dalla tappa iniziale di Vancouver del 12 maggio 2017 al prossimo 15 dicembre, quando si spegneranno le luci nel Patil Stadium di Mumbai, all’ombra del Joshua Tree che sovrasta il megapalco e dà forma alla passerella che s’incunea tra il pubblico, hanno cercato la terra promessa quasi 3 milioni di fan in soli 66 spettacoli in Europa, Nord e Sud America, Messico, Nuova Zelanda e Asia. Un numero sensazionale, come gli oltre 9 milioni e 300mila biglietti venduti per i quattro tour messi in piedi dal quartetto irlandese tra il 2010 e il 2019 (“360°”, “iNNOCENCE + eXPERIENCE”, “eXPERIENCE + iNNOCENCE Tour” e “The Joshua Tree), per un guadagno totale che sfonda il miliardo di dollari. Un record, come ha stabilito uno studio della rivista Pollstar, specializzata nel settore dei concerti. Cifre che decretano gli U2 come la band del decennio in uno scenario musicale rivoluzionato dalle piattaforme streaming, quando i live diventano la fonte di guadagno più importante per un artista, quantificando la sua popolarità più di qualsiasi numero di visualizzazioni.
Così come in quel lontano nel 1987, il miracolo si è ripetuto. Vecchie e nuove generazioni hanno riposto il proprio bagaglio di illusioni e di fragili speranze sotto quell’albero che trent’anni fa segnò una svolta nella storia della band e del rock. Sotto il Joshua Tree sono tornati anche gli U2. Per riaccendere i sacri fuochi del rock. Per ritrovare la straripante energia degli esordi. Quando il megaschermo si accende di rosso fuoco, l’angoscia monumentale della voce di Bono, l’impulso trainante del basso di Adam Clayton e della batteria di Larry Mullen e il gemito della chitarra di The Edge fanno deflagrare “Where The Streets Have No Name”. Gli U2 sono andati di nuovo alla ricerca di qualcosa che manca e che non riescono a trovare. “I Still Haven’t Found What I’m looking For”, manifesto esistenziale della band e di intere generazioni. “With or Without You” è un bolero rock’n’roll. “Bullet The Blue Sky” è l’urlo sguaiato della guerra nell’inferno del San Salvador e del Nicaragua: là dove l’America capovolge i suoi ideali troviamo la faccia oscura dello zio Sam, è la denuncia della contraddizione umana e sul megaschermo si vedono messicani e americani indossare elmetti da soldato; “Running To Stand Still” è l’incapacità di uscire dalla gabbia del proprio corpo, il tentativo di evasione tramite uno strumento terribile come la droga, con un Bono struggente all’armonica; “Red Hill Mining Town” è la mancanza di lavoro, della speranza, di un futuro, è la disperazione nel vedere la propria vita spazzata via da decisioni altrui; “God’s Country” descrive la necessità di un cambiamento ideologico a livello politico e morale, Bono canta le sue preoccupazioni per un’America logorata dal patriottismo sfrenato; “Trip Through Your Wires” è la ricerca del piacere carnale, la necessità di lasciarsi andare alla superficialità, e fa da spartiacque verso i brani più cupi dell’album.
“One Tree Hill” sui pellerossa e poi, straordinaria, “Exit”, introdotta dallo spezzone di una vecchia serie western, intitolata “Trackdown” (1958), dalla quale viene estrapolata la battuta “Trump, sei un bugiardo”, riferita a un ciarlatano protagonista del film tv. Bono è un killer, magistrale interprete di un brano drammatico, teso, paranoico, psichedelico, potente, sul lato oscuro che c’è in ciascuno di noi. E poi la commovente “Mothers of the Disappeared” mescolata a “El pueblo vencerà”.
Tutto questo è racchiuso nel simbolo che Anton Corbijn trovò – e fotografò – nel 1986 nell’ostile paesaggio della Death Valley: il Joshua Tree. La contraddizione dell’esistenza – soffrire per continuare a vivere – prende forma non solo mediante la musica degli U2 e le parole di Bono, ma trova la propria rappresentazione mistica in quest’albero oramai leggendario. «Mi ci sono voluti solo trent’anni per imparare a cantare queste canzoni», ha detto Bono di recente in una intervista a una radio australiana. «Ed è bello poter dire che il nostro pubblico ha regalato a “The Joshua Tree” una vita completamente nuova in questo tour. Fare questi spettacoli è stato molto speciale per noi, molto emozionante … Abbiamo capito quanto siano ancora importante alcune canzoni, da quelle nate dalla disperazione alla gioia, al puro divertimento della messa in scena … Io, Edge, Adam e Larry ci siamo ritrovati come ai vecchi tempi… Ci sono stati momenti sul palco che mi hanno colpito per le cose potenti che siamo riusciti a fare e mi piacerebbe trovare nuove canzoni che possano rappresentare quel fuoco che c’era sul palco».
Nel cassetto c’è ancora il misterioso album “Songs of Ascent”. «Non so se lo finiremo presto o se ci vorrà più tempo. È costruito sui salmi che prendono il nome dai 15 Gradini, dalla Camera delle donne fino al Tempio di Gerusalemme. Sono ossessionato da re David. Era una figura interessante. Era brutalmente onesto con Dio in ogni momento. Mi piacerebbe portare a compimento questo album. Ma, nello stesso tempo, mi piacerebbe fare semplicemente un fottuto album rock’n’roll con questa mia formidabile band».
Nelle more, in occasione della prima visita degli U2 in India, è uscito il singolo “Ahimsa” (“non violenza” in sanscrito), brano che celebra la diversità spirituale dell’India e unisce l’ethos degli U2 con la maestria del leggendario compositore A.R. Rahman. «La lotta contro l’ingiustizia è sempre stata molto importante per noi» ha commentato Bono. «Siamo stati in qualche modo formati dalle parole di Martin Luther King che era uno studente del Mahatma Gandhi. Martin Luther King disse: “L’arco morale dell’universo è lungo ma si piega verso la giustizia…”. Non lo credo più… Non si piega verso la giustizia, deve essere piegato verso la giustizia… Dobbiamo essere attivamente coinvolti nella nostra democrazia per preservarla e mostrare alla gente come ci sentiamo e cosa ci sta a cuore… Veniamo come studenti alla fonte di ispirazione… Questo è “Ahimsa”… la non violenza… L’India ci ha fatto questo… il più grande dono al mondo… È più potente dell’energia nucleare, degli eserciti, delle marine, dell’Impero britannico. È il potere stesso. E non è mai stato così importante».
Se il 15 dicembre calerà il sipario sul “Joshua Tree Tour”, con il nuovo anno andrà “on air” U2X Radio. Il canale radio, riservato agli abbonati SiriusXM e agli ascoltatori di Pandora (la rivale di Spotify e Apple Music), celebrerà la musica del quartetto irlandese. Il canale vedrà partecipe la band stessa con interviste mai ascoltate e registrazioni di concerti dal vivo, rarità, playlist curate da Bono & soci, nonché contenuti che celebrano le loro radici di Dublino e molto altro. Insomma, restate sintonizzati.