“Cip!”, un cip al posto di un tweet. “Cip!”, il tenero cinguettìo di un pettirosso in un mondo dove la normalità è gridare. “Cip!” è il titolo che Dario Brunori, in arte Brunori Sas, ha scelto per il suo nuovo album di inediti. «Non volevo focalizzare l’attenzione su un concetto piuttosto che su un altro» spiega il cantautore. «Questo disco parla di ciò che ho sentito: e come faccio a spiegare ciò che ho sentito? Con un suono. Che è un cip, ironico, ma deciso con il suo punto esclamativo, in tutto questo gridare che ci circonda».
“Cip!” anche per indicare la leggerezza. «Tra le premesse che mi sono dato prima di scrivere questo nuovo album, c’era che avrei vestito le nuove canzoni in modo adatto ai contesti in cui sarei andato ad eseguirle, optando per una forma canzone che prediligesse la cantabilità, il ritmo, gli arrangiamenti sostenuti e ricchi di vitalità (nei limiti della vitalità massima che può esprimere un calabrese ozioso come me, ovviamente). Canzoni corali. Pop». Un disco che presta «particolare attenzione al canto, al suono della voce, al come più che al cosa», spiega.
Quarantadue anni, cantautore, calabrese, cinque dischi all’attivo, ha registrato le 11 tracce dell’album trainate dai singoli “Al di là dell’amore” e soprattutto l’intensa ballad “Per due che come noi”, che entra dritto al cuore e che sicuramente sarebbe arrivata sul podio del Festival di Sanremo 2020, se solo l’artista avesse deciso di partecipare. E Brunori non nega di aver ricevuto la “chiamata”. «Sì, è vero. È arrivata, ma in gara proprio non mi ci vedo. Evidentemente non l’avverto come esigenza. E immagino che abbia a che fare con il mio carattere e con l’imperativo che mi sono dato: cantare in una condizione emotiva e non competitiva. L’anno scorso sono andato, ma come ospite, e questo mi ha fatto sentire più a mio agio».
“Cip!” è stato registrato tra Milano e la Calabria per parlare «dell’Uomo, e non degli uomini». Un lavoro che cerca di sfumare divisioni e confini. «Mi ero anche ripromesso che non avrei parlato in modo diretto di stretta attualità o di argomenti sociali, se non collocando le vicende umane all’interno di un contesto più ampio, quasi a volerne ridimensionare l’importanza rispetto all’insieme in cui sono calate. Volevo riconsiderare, in una sorta di “Gestalt calabra”, il rapporto fra ciò che ho sempre considerato centrale (la vita degli uomini) e ciò che ho da sempre considerato periferico (l’universo che ci ospita)».
Il disco racconta del «nostro essere a tempo determinato, della morte come spavento ma anche come consolazione e addirittura come stimolo alla vitalità». E con la serena constatazione che “il mondo girerà anche senza di noi” e che “alla fine va bene”, traducendo cosi musicalmente argomenti sensibili con “accettazione” e non con l’amarezza di un tempo. “Cip!” si apre con “Il mondo si divide”, in cui il cantautore sottolinea quanto sia stia sempre in bilico tra la decisione “giusta” e quella più conveniente. «Ho cercato da una parte di raccontare la difficoltà della scelta etica e della difficoltà di essere buoni rispetto alla facilità del fingere di essere cattivi. La scelta etica viene messa in discussione alla radice. C’è un interrogativo sul senso e sul significato dell’etica… Non ti so dire cosa sta accadendo oggi nella società, ma quello che vedo, per tanti motivi, è una messa in discussione seria su tutti i principi e valori per cui siamo stati educati e cresciuti. C’è tanto odio espresso perché siamo stati, in passato, obbligati ad amare, invece l’odio, che è stato sempre proibito, oggi paradossalmente ci dà una energia in più, come fosse un sentimento più vero e autentico».
Con una potenza disarmante, da pugni chiusi e lacrime agli occhi, “Capita così” ci mette invece davanti ai bilanci, quelli dei risultati raggiunti e quelli per cui ci sente minuscoli: gli anni che passano e l’imprevedibilità della vita, l’attimo che inganna, i cambiamenti e il crederci, nonostante tutto. Un grido di sfogo e di gioia in una cavalcata ritmica ed emozionale. “Mio fratello Alessandro”, dal mood beatlesiano, apre una tenera e umana riflessione sulla proprietà transitiva del prendersi cura gli uni degli altri. Si apre invece con un riff corale “Anche senza di noi”, forse il brano più spirituale di tutto l’album, che si interroga sul senso profondo del nostro passaggio, della traccia che saremo capaci di lasciare, di quello che succederà e verrà riscritto nel prossimo futuro da chi arriverà dopo di noi. Una chitarra acustica dai toni folk, tra la west coast e il Beck più intimista, accompagna Dario Brunori in “La canzone che hai scritto tu”, una semplice e distesa ballad nel suo stile ormai peculiare fatto di sentimento lieve e dolce ironia. “Bello appare il mondo” è poi un minuzioso invito ad accogliere la bellezza del mondo intorno facendo spazio ai sentimenti più puri, spesso appannaggio dell’età fanciullesca.
L’ottava traccia, “Benedetto sei tu”, è una speranzosa preghiera laica sulla ricerca della consapevolezza del nostro saper essere umani nel mondo di oggi. Un viaggio dai suoni esotici tra i Vampire Weekend e Sufjan Stevens è lo scatto di “Fuori dal mondo”, un vero e proprio inno dei sognatori. Achille, un bambino che non diventerà mai uomo, è il protagonista di “Quelli che arriveranno”, il brano struggente che chiude l’album.
«In questo album ho cercato di scrivere in modo più poetico e meno prosaico, prediligendo argomenti di ordine etico e filosofico» spiega Dario Brunori. «Si tratta di territori ambigui e spinosi, ne sono cosciente, in cui è facile cadere nel pedante, nel moralismo spiccio o peggio nella banalità. Per questo motivo ho cercato di non lanciarmi in voli inadatti alla mia apertura alare, troppo complessi, intellettuali o semplicemente, per la mia indole, noiosi. Per questo li ho affrontati, al limite, solo col guizzo del poeta, non di certo con la preparazione e la cura dell’accademico, dello studioso o dell’erudito. Un po’ new age da autogrill, ne convengo, ma sono andato dritto comunque, con una rustichella in mano», conclude ridendo.
Adesso Dario Brunori girerà tutto il Paese per una serie di incontri con il suo pubblico. “Parla con Dario” è il titolo scelto per il nuovo format di incontri, nato dall’esigenza, quella del dialogo diretto, della vicinanza con la propria comunità di ascoltatori, che è in perfetta sintonia con alcune delle tematiche più importanti tracciate dal nuovo disco, prima fra tutte l’importanza di rimettere l’uomo al centro della narrazione contemporanea. I luoghi che ospiteranno gli incontri saranno aule universitarie, club, circoli, spazi pensati per la cultura e per la musica e toccheranno quasi tutta la penisola. Si comincia da Milano e Napoli per poi passare dalla Feltrinelli di Catania il 18 gennaio e dai Candelai di Palermo il 19 e finire il 28 all’Università della Calabria a Cosenza. Poi, in marzo, il tour, con partenza da Vigevano e chiusura il 5 aprile a Reggio Calabria.