Non so cosa in questa sera piovosa di settembre mi spinga a rileggere alcune pagine di Un été en Sicile (non mi risulta a oggi tradotto in italiano) di Dominique Fernandez. Forse la bellezza della storia, forse della scrittura. Leggere Fernandez è entrare in un mondo, e in un modo di fare letteratura che probabilmente non esiste più. Dietro ogni sua pagina c’è meditazione, cultura, vita, pensiero e soprattutto la maturità di un grande scrittore. Il suo non è un libro scritto per vendere ma per parlare all’anima. La semplicità della vicenda racconta un’Italia che non c’è più, quella fra la fine degli anni Cinquanta e gli inizi dei Sessanta.
Un uomo e una donna. Un pittore squattrinato, e la sua compagna arrivano in una cittadina sconosciuta della Sicilia orientale: a Rosalba. È una località fuori dai circuiti turistici, dove nessuno soggiornerebbe, e dove il tempo sembra essersi fermato. Lui è attratto proprio da questo, da un mistero, da qualcosa di ancestrale che i luoghi emanano; lei no. A tratti è in sintonia con lui ma il più delle volte fa fatica a capirlo. Lei è figlia di un banchiere piemontese e di una contessa fiorentina. Dalla sua famiglia ha ereditato tutta una serie di pregiudizi sul Sud. Per lei i mali del Mezzogiorno non sono dovuti alle responsabilità degli uomini del Nord ma alla cattiva natura di quelli del Sud. Di diversa opinione è Lucien che è critico nei confronti di Cavour:
[…] – Il vostro Cavour, le dicevo, di cui tuo padre è così infatuato, è mai andato più giù di Roma? Lettore di Pindaro, egli si basava sul mito greco del «granaio» per credere la Sicilia «feconda di cavalli» e «profumata di raccolti». In seguito ai terremoti e alla scomparsa dei fiumi, il suolo si è sgretolato, e si è reso non adatto a essere lavorato. I crociati del Medioevo, diboscando le montagne per costruire le loro navi, hanno accelerato il deperimento delle coltivazioni, impoverite per la rarefazione delle nubi e per la diminuzione delle piogge. Di tutti questi cambiamenti, geofisici e climatici, Cavour non ha voluto sapere nulla.
[…] Maria era convinta che tutti i mali dell’isola, di cui la stampa ci riempiva continuamente le orecchie, cioè povertà, mafia, disoccupazione, corruzione, analfabetismo, oppressione del matriarcato, mancanza di libertà tra i giovani, e fino all’aridità che rovinava tutta la vegetazione nelle terre bruciate, non potevano che provenire che dalla malvagità naturale degli abitanti, sciocchi, venali, malati di fanatismo. La loro indole viziosa impediva loro di progredire. «Il più onesto non è che il più furfante»: tale è l’opinione che in Piemonte e in Lombardia hanno degli uomini del Sud. […]
Siamo nell’Italia repubblicana, in quella di Pasolini che in Millecento fa un viaggio al Sud, ma il bel paese, e specie il Mezzogiorno, non si è ancora liberato del suo passato monarchico e feudale. Lo si capisce bene a Rosalba, dove una lapide ricorda il suo fondatore, il Marchese di Rudinì, e dove ci sono qua e là ancora tracce della cultura fascista.
La coppia si spinge fino a Marzapalo.
[…] Attraversammo una zona di pianure, di saline, di vigneti in pendenza sulle colline. Dalle loro foglie lunghe e appuntite, riconobbi i mandorli. Quante volte, da allora, percorsi, quelle strade! Niente è cambiato. Degli olivi centenari agitavano il fogliame che bruiva di note metalliche. Lunghe serre, come delle volte a botte, luccicavano nel sole. Schiacciate sulle pendici, esse rassomigliavano a dei campi di beduini. Qua e là, una fattoria, un ovile, un frantoio in pietra a secco, rompeva l’allineamento dei vigneti.
Dei pomodori rosso vivo, messi a seccare con i loro gambi verdi su delle grandi griglie bianche, stendevano sul terreno i colori della bandiera nazionale.
Alla sommità del monte, Marzapalo, si scoprì a noi. Circondati da tre lati dal mare e dominato da un faro, il villaggio si stendeva in basso, come se le correnti che si scontravano davanti al Capo l’avessero arenato sulla costa. […]
Lucien e Maria cercano un luogo senza memoria, non di rovine greco-romane ma in cui c’è gente viva. Nel loro viaggio lo troveranno, e scopriranno non solo le contraddizioni della terra che stanno esplorando ma anche della vita. Assaporeranno tutto il sapore del retaggio di una cultura antica che mostrerà a Lucien il suo volto di Medusa. La Sicilia in qualche modo finisce per possederlo, e sarà proprio questo che scaverà un solco profondo e di non ritorno fra i due.