Faranno i guardiani nei musei, forniranno assistenza domiciliare alle persone anziane o si occuperanno della manutenzione del verde pubblico. Sono solo alcuni esempi delle attività presso i comuni che dovranno svolgere i beneficiari del reddito di cittadinanza. L’obbligo è scattato con la pubblicazione in Gazzetta ufficiale lo scorso 8 gennaio del decreto del ministero del Lavoro che definisce ambiti, caratteristiche e paletti dei progetti utili alla collettività: i beneficiari del sussidio dovranno dare la propria disponibilità a svolgere attività non retribuite «in ambito culturale, sociale, artistico, ambientale, formativo e di tutela dei beni comuni» mentre continueranno la loro ricerca di un lavoro tramite i Centri per l’impiego. Lo strumento è in mano ai Comuni, a cui spetta la titolarità dei progetti, per potenziare le loro attività a sostegno della collettività. Una volta che le amministrazioni definiranno i lavori da svolgere, chi non rispetterà l’obbligo, previsto tra un minimo di 8 e un massimo di 16 ore settimanali, vedrà decadere il sussidio.
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«Il progetto può riguardare sia una nuova attività sia il potenziamento di un’attività esistente», che però non deve mai essere assimilabile a un lavoro dipendente o autonomo, anche perché non è previsto alcun rimborso per il beneficiario. Anche per questo, le persone coinvolte non potranno sostituire lavoratori già assunti dal Comune né avere ruoli di responsabilità. In ogni caso, dovranno essere attività individuate «a partire dai bisogni e dalle esigenze della comunità» .Per favorire «le propensioni individuali nella scelta dei progetti», il decreto del ministero del Lavoro prevede che i beneficiari possano «fornire le proprie preferenze in riferimento alle aree di intervento dei progetti». A percettori del reddito quindi verranno offerte per prime delle attività più adatte «al loro profilo».
L’obbligo di prendere parte ai progetti è prevista tra gli impegni assunti dal beneficiari con la sottoscrizione del Patto per il Lavoro e del Patto per l’Inclusione Sociale, prevista per poter accedere al reddito di cittadinanza. Mentre sono alla ricerca di un impiego i beneficiari svolgeranno queste attività di aiuto alla collettività. La mancata partecipazione ai progetti, nel caso in cui il Comune di residenza li abbia istituiti, comporta la decadenza del sussidio. L’impegno minimo richiesto è di 8 ore settimanali: le ore possono essere distribuite a piacimento su più giorni, così come su più periodi nell’arco di un mese, con l’obbligo però di arrivare a fine mese avendo svolto le ore di lavoro previste. Esiste anche una possibilità di recupero delle ore mancanti, prima di arrivare alla decadenza del beneficio. A tal fine, i Comuni dovranno istituire un registro dei partecipanti in cui segnare presenze, ora d’inizio e fine dell’attività.
Non tutti i beneficiari del reddito di cittadinanza però sono tenuti a dare la loro disponibilità a partecipare a progetti di pubblica utilità. La partecipazione è solo facoltativa per chi è inserito nell’articolo 4, comma 2, del Decretone del febbraio 2019. Si tratta delle persone occupate con un reddito superiore a 8.145 euro per lavoro dipendente e 4.800 euro per lavoro autonomo, delle persone che frequentano un corso di studi o di formazione, dei beneficiari della Pensione di cittadinanza, dei beneficiari over 65, dei componenti con disabilità, dei componenti di un nucleo famigliare che devono prendersi cura di minori o persone con disabilità grave o non autosufficienti. Inoltre, sono esonerato dall’obbligo anche le persone che lavorano già più di 20 ore settimanali, che svolgono tirocini, che non si trovano in condizioni di salute idonee (compresa la gravidanza).
Tolti i circa 790 mila beneficiari del reddito di cittadinanza che i navigator ritengono arruolabili per il lavoro, l’esercito di volontari a disposizione dei Comuni ammonta a circa 900mila elementi. I primi a essere ingaggiati dai Comuni saranno i quasi 8 mila sussidiati bocciati a dicembre dagli operatori dei centri per l’impiego perché al momento sprovvisti delle competenze per lavorare. In Emilia Romagna ce ne sono 2.188, in Sicilia 2.461, in Campania 1.333, nel Lazio 187.