La produzione e le attività lavorative ferme nelle zone rosse del Lodigiano e a Vo’ Euganeo. Con inevitabile impatto sulle aziende di tutta la zona. Gite scolastiche annullate, come convention e fiere. Cancellazioni a raffica per viaggi di lavoro e svago. E poi scuole e università chiuse in tutto il Nord. Se fare previsioni a lungo termine sull’impatto economico del coronavirus è impossibile, gli effetti nel breve sono chiari. Se, dopo il -0,3% segnato nell’ultimo trimestre del 2019, il pil italiano dovesse subire una nuova contrazione nel primo trimestre 2020 sotto il peso dell’emergenza, il Paese entrerebbe tecnicamente in recessione, segnando due trimestri consecutivi sotto segno «meno».
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Lombardia e Veneto, le Regioni dove sono state adottate le misure più stringenti per contenere il contagio, insieme generano circa un terzo del pil italiano: rispettivamente 390 e 163 miliardi nel 2018, su un pil italiano di 1.765 miliardi. Basta questo per capire che le ripercussioni economiche dell’emergenza «potrebbero essere fortissime», come ha riconosciuto il premier Giuseppe Conte. La portata delle conseguenze è però ovviamente legata a doppio filo alla durata della crisi. Intanto, le prime stime degli economisti parlano di un 2020 per l’Italia che va verso la crescita negativa. «Una recessione tecnica ci sarà decisamente. Per il 2020 la stima è negativa fra -0,5 e -1%», dice all’Ansa Lorenzo Codogno, fondatore di Lc Macro Advisors a Londra.
Per l’industria il coronavirus è un colpo su un settore già in crisi. Nelle fabbriche dove ci sono dipendenti contagiati la produzione in alcuni casi si ferma, in altri si va avanti con particolari misure di prevenzione. Dalla Cina si è ridotto l’arrivo di componenti che vengono assemblati in Italia. C’è poi da fare i conti con i clienti in allarme: gli stranieri stanno chiedendo conferme sulla capacità delle nostre aziende di rispettare le consegne.
I consumi che prima venivano fatti fuori casa si trasferiscono tra le mura domestiche. Per alimentari e farmaci il coronavirus porta a un aumento delle vendite. In seria difficoltà, invece, i pubblici esercizi. Confcommercio parla di 100 mila dipendenti a rischio nel settore. Secondo l’Alleanza delle cooperative, con la chiusura delle scuole, la cooperazione sociale vede a rischio oltre 30 mila lavoratori, con un danno economico stimabile in 10 milioni di euro al giorno. Mentre nella gestione dei servizi di pulizia e ristorazione sarebbero oltre 5.500 i lavoratori ad oggi fermi. I negozi sono in difficoltà, le vendite sono ridotte al minimo. Penalizzati gli acquisti non strettamente necessari. Senza contare che, soprattutto nei centri storici, gli acquisti sono penalizzati anche dalla riduzione degli arrivi di turisti, italiani e stranieri. Un discorso a parte meritano i grandi outlet e i centri commerciali, luoghi di socialità e aggregazione che in questo momento vengono evitati per ridurre il rischio di entrare in contatto con il virus. E così l’emergenza si sta trasformando in una ulteriore spinta per le vendite online.
C’è però un settore che, oltre ad essere nell’occhio del ciclone da diverse settimane, rischia di subire ripercussioni durature: è il turismo, che conta 2 milioni di addetti e genera circa il 13% del pil italiano. Con i voli diretti da e per la Cina sospesi, è già crollato l’afflusso turistico dal Paese che l’anno scorso ha garantito alle città italiane oltre 5 milioni di pernottamenti oltre ad alimentare la domanda nel settore moda e lusso. In queste ore il quadro è peggiorato esponenzialmente: i focolai del Nord Italia, i contraccolpi diretti delle misure prese da governo e Regioni e la psicosi che ne è seguita stanno causando cancellazioni a raffica. Non solo da parte dei turisti stranieri i cui governi sconsigliano i viaggi nella Penisola: rinunciano anche molti italiani diretti all’estero, visto che alcuni Paesi sono pronti a imporre la quarantena a chi arriva dal Nord Italia.