Con il suo libro “The Castle on Sunset”, lo storico di Hollywood Shawn Levy torna a parlare della tragica morte di John Belushi e rivela nuovi dettagli sul periodo durante il quale l’attore alloggiava presso la celebre struttura di Los Angeles, lo Chateau Marmont, meta d’elezione delle star di Hollywood e della musica rock. È proprio lì, infatti, che l’artista morì nella notte tra il 4 e 5 marzo di 38 anni fa. A metà degli anni ’70 – a Toronto – aveva conosciuto Dan Aykroyd, con il quale instaura un prolifico e solido rapporto personale e lavorativo. La nascita dei Blues Brothers – due personaggi completamente vestiti di nero – risale al 1978, quando Belushi e Aykroyd vanno assieme a vedere un concerto blues. Il duo decide così di riascoltare vecchi brani e di riprodurli musicalmente e vocalmente: nascono così Jake e Elwood Blues.
Per il debutto dello sketch comico mettono insieme una vera e propria band, con musicisti noti, chiamata Blues Brothers Band. Ma quello che era nato come un siparietto comico per il SNL diventa ben presto un vero e proprio progetto musicale, fino alla consacrazione definitiva con la pellicola di Landis del 1980. Vengono incisi quattro dischi e molte altre sono date alle stampe dopo la morte di Belushi. A partire dal 1978, per John e Dan si apre un intenso periodo di concerti ed esibizioni live tra San Francisco, New York, San Diego e Los Angeles. La carriera di Belushi cresce proporzionalmente al suo abuso di alcol e sostanze stupefacenti. Mentre tocca, infatti, le vette del successo e della consacrazione internazionale, combatte contro una forte dipendenza iniziata nel 1973, che lo illude di riuscire a recitare meglio e di poter sopportare stress e fatica.
Nel 1979 poi il picco di alcolismo con un conseguente brusco tracollo del suo personale successo. Tutti questi anni di abusi ed eccessi raggiunsero il limite nel 1981, quando la dipendenza da cocaina rese evidente un cambiamento a livello personale. Era diventato schivo, aggressivo e isolato. Belushi, 33 anni, all’apice del successo della sua carriera cinematografica, arrivò all’albergo il 28 febbraio 1982 ed era in pessimo stato: visibilmente stanco, sudato, trasandato, spettinato e pallido. Si stabilì in uno dei bungalow, in cerca di tranquillità per scrivere il suo nuovo film, Noble Rot – una commedia romantica basata su una rapina nei primi anni dell’industria californiana del vino – per la quale voleva anche il parere di addetti ai lavori, produttori e colleghi. Ecco perché, in quei giorni, in molti lo andarono a trovare per dare un’occhiata alla sceneggiatura.
A quanto pare, però, il lavoro non procedeva per il meglio: il suo manager Bernie Brillstein, così come i dirigenti della Paramount Pictures, non era affatto contento di quanto aveva scritto fino a quel momento. Ben presto fu chiaro a tutti che John Belushi non stesse affatto bene: non dormiva, non riusciva a concentrarsi, saltava gli appuntamenti, parlava in modo scoordinato e incoerente, andava in giro con i vestiti sporchi e non aveva alcuna cura di sé, probabilmente nemmeno si lavava; in seguito si scoprì che viveva in un vero e proprio letamaio, perché in quei giorni il suo bungalow si riempì di spazzatura ed era diventato un vero porcile. Tutti sospettarono che l’attore stesse abusando di droga e la loro intuizione si rivelò essere corretta.
Quell’inverno Belushi lo aveva passato a ubriacarsi, a fumare erba e soprattutto a sniffare cocaina tutto il giorno, tutti i giorni; come se non bastasse, in quel periodo iniziò anche a fare uso di eroina e, per giustificarsi, diceva che stava facendo una ricerca per un film che avrebbe voluto realizzare per raccontare la scena punk rock. Nella Hollywood degli anni ’80, com’è facile immaginare, comportamenti del genere erano quasi all’ordine del giorno e, da un certo punto di vista, persino “tollerati”, nel senso che nessuno si preoccupava di come gli altri impiegassero il proprio tempo libero. Mentre Belushi si lasciava andare nel suo bungalow, le persone a lui vicine iniziarono a pensare a un modo per farlo tornare a New York da sua moglie Judy e dall’amico Dan, i quali avrebbero potuto aiutarlo a uscire dal tunnel della droga e a rimettersi in sesto. Ma riuscire nell’impresa era compito assai arduo se non impossibile, specie in quei giorni in cui l’attore era totalmente fuori controllo: andava in giro per club e ristoranti o usciva per procurarsi la droga, mentre nel bungalow non rispondeva nemmeno al telefono, circondandosi di persone poco raccomandabili. Ormai del tutto isolato dalle persone che avrebbero potuto aiutarlo.
Nel libro si parla anche di Robert De Niro, intimo amico, spesso anch’egli residente al Chateau Marmont, ma in una suite. In quel periodo andò a un party con i suoi figli e incontrò l’attore: quella sera lo vide sniffare una quantità esagerata di cocaina ed eroina, e per questo poi lo vide scappare a vomitare. Nonostante il triste episodio, De Niro non abbandonò l’amico e continuò ad andare nei club o alle feste in sua compagnia, anche perché, tra l’altro, lui stesso faceva uso di stupefacenti, ma certo non a quei livelli. Il 4 marzo, dunque il giorno prima della morte di Belushi, anche De Niro alloggiava nell’albergo e stava per uscire con l’attore Harry Dean Stanton, quando decise di telefonare all’amico per invitarlo a trascorrere la serata con loro, prima a cena e poi in un nightclub. Ovviamente Belushi non rispose alle chiamate, così si diressero al bungalow e lo trovarono in uno stato disgustoso, con biancheria sporca, spazzatura, bottiglie di alcolici e schifezze ovunque. Belushi era in compagnia di una donna di nome Cathy Smith e suggerì agli amici di tornarlo a trovare più tardi; De Niro fu ben lieto di andarsene dopo aver assistito a quello spettacolo. Quando tornò in albergo, però, De Niro rientrò nella sua suite con Stanton e due donne che avevano rimorchiato durante la serata. L’attore ricevette una telefonata da Robin Williams che si trovava in zona e invitò anche lui da Belushi. Come De Niro, anche Williams inorridì nel constatare in quale terribile stato si trovasse il bungalow dell’amico. Per questo motivo se ne andò presto dopo due chiacchiere e un po’ di cocaina. La stessa cosa fece più tardi anche De Niro: passò a trovare John ma, dopo qualche sniffata e qualche chiacchiera, se ne tornò nella sua suite poco dopo le 3 di notte.
Il mattino seguente, alle 8, arrivò il servizio in camera nel bungalow di Belushi: la donna che era con lui, Cathy, fece colazione e poi se ne andò, mentre l’attore ronfava ancora rumorosamente sul letto. Poco dopo l’attore fu ritrovato privo di sensi da Bill Wallace, il suo personal trainer e bodyguard: non riusciva a svegliarlo in alcun modo e, non sapendo cosa fare, chiamò il manager dell’artista. Brillstein pensò che il suo assistito stesse solo fingendo, pur di evitare l’incontro con i produttori della Paramount in programma quel giorno. Quando, però, Wallace gli spiegò che davvero qualcosa non andava, allora gli disse di chiamare subito i soccorsi e mandò il suo assistente, Joel Briskin, sul posto a controllare la situazione. Quando quest’ultimo arrivò, trovò Wallace disperato che tentava di praticare la respirazione bocca a bocca a Belushi ma era ormai troppo tardi. Ben presto l’albergo si riempì di paramedici, poliziotti, giornalisti e semplici curiosi. I medici capirono subito che s’era trattato di un’overdose dopo aver visto il buco sul braccio dell’attore. Tutte le persone a lui vicine dovettero affrontare la tragedia, qualcosa a cui forse non avevano mai pensato, convinti che Belushi non potesse arrivare a tanto. Tra queste persone c’era anche De Niro che, per tutta quella mattina, provò a telefonare invano all’amico per poi apprendere poco dopo la terribile notizia e scoppiare a piangere, riattaccata la cornetta.
Nel frattempo, una folla di persone tentava di entrare nell’hotel per capire cosa stesse succedendo e i proprietari dello Chateau Marmont fecero di tutto per proteggere la privacy dei propri ospiti e soprattutto per evitare lo scandalo. Ma era troppo tardi: quando il corpo di Belushi fu portato via, la strada di fronte all’hotel era ormai piena di fotografi e reporter. Quando il giorno dopo il manager dell’attore ottenne il permesso di entrare nel bungalow per recuperare gli effetti personali del suo assistito, non riuscì a credere ai suoi occhi: «La scena non era solo deprimente, ma perversa – disse in seguito – non riuscivo a credere che John avesse vissuto lì dentro».
La polizia aveva già ripulito in parte la stanza, sequestrando la droga ancora presente, ma l’aspetto di quell’alloggio lasciava ancora sotto shock per la sporcizia e la devastazione che vi regnavano. La dose fatale gli era stata somministrata dalla Smith, che si sarebbe giustificata dicendo di essere stata completamente ubriaca e di non essersi resa conto della quantità della dose di speedball. Perseguitata dalla giustizia, scappò all’estero per poi tornare in America quattro anni dopo e patteggiare una condanna a 15 mesi di carcere. Dopo la morte di Belushi, lo Chateau Marmont di Sunset Boulevard e la zona circostante, teatro di altri celebri episodi riguardanti le star di Hollywood, divenne meta di un macabro turismo. Negli anni seguenti in tanti scrissero di questa storia, spesso aggiungendo particolari inesistenti per renderla ancora più scandalosa, ma la verità è che si è trattato solo di una tragedia che ha purtroppo portato alla morte prematura di ciò che rimaneva di uno dei talenti più brillanti degli States. Da The Castle on Sunset, il libro che racconta nel dettaglio non solo questa ma anche altre vicende legate al “castello di Sunset Boulevard”, verrà tratta una serie tv diretta da Aaron Sorkin e John Krasinski per HBO.