Il consiglio ha approvato in tutta fretta il decreto legge che fissa le nuove regole per le scarcerazioni dei mafiosi e stabilisce che comunque esse dovranno essere verificate ogni 15 giorni per capire se i presupposti che le avevano giustificate sono ancora validi. La necessità di svuotare le carceri per dare una risposta al sovraffollamento e alle necessità di distanziamento sociale per combattere la diffusione dei contagi da coronavirus si era rivelata un boomerang per il governo e per il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede.
«Nessuno può pensare di approfittare dell’emergenza sanitaria determinata dal coronavirus per uscire dal carcere», dice Bonafede subito dopo il Consiglio dei ministri. « Da stasera c’è una nuova norma che mette ordine alla situazione. In un momento così straordinario si stava andando avanti con vecchi strumenti. Ribadiamo con fermezza quanto lo Stato sia impegnato nella lotta alla mafia. Un impegno che continuiamo a portare avanti, in onore della memoria di chi su questo terreno ha perso la vita e i propri affetti, nonché per il futuro dei nostri figli. La mafia mina le fondamenta della democrazia del nostro Paese e dobbiamo mettercela tutta affinché la giustizia faccia sempre il suo corso, fino all’ultimo».
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Il decreto legge di Alfonso Bonafede punta a far tornare in carcere i 376 mafiosi scarcerati nelle ultime settimane. Sono tutti detenuti al 41 bis e nei regimi di Alta sicurezza che hanno ottenuto i domiciliari grazie all’emergenza sanitaria. La norma in pratica impone ai giudici di Sorveglianza di rivalutare in 15 giorni se sussistono ancora i motivi legati all’emergenza sanitaria. È sulla base del rischio contagio se i giudici hanno consentito gli arresti casalinghi a mafiosi, presunti boss, killer e spacciatori di droga. Ma non solo. Il decreto prevede anche nuove regole sui colloqui in carcere per prevenire il contagio del Covid-19.
Diviso in tre articoli, il primo sulle “misure urgenti sulla detenzione domiciliare e il differimento della pena per motivi connessi all’emergenza Covid” stabilisce che per i condannati per terrorismo o mafia e per tutti i reati che mirano ad agevolare le associazioni mafiose e per quelli che si trovano al 41 bis «ammessi alla detenzione domiciliare o con il differimento della pena per il Covid dal magistrato si sorveglianza, che ha acquisito il parere della procura nazionale antimafia, il magistrato valuta la permanenza dei motivi legati all’emergenza sanitaria entro il termine di 15 giorni dall’adozione del provvedimenti, e successivamente con cadenza mensile». La valutazione, dice ancora il decreto, viene fatta «immediatamente» , quindi anche prima dei 15 giorni, se il Dap comunica «la disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta adeguati alle condizioni di salute del detenuto».
Ma la stretta sui permessi non finisce qui. Perché, come recita l’articolo 2, il magistrato deve «sentire l’autorità sanitaria regionale» per fare il punto sulla situazione sanitaria locale e acquisire anche dal Dap «l’eventuale disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta» in cui il detenuto ai domiciliari può riprendere a scontare regolarmente la pena. Inoltre, nell’articolo 3 del decreto si specifica che, nel caso degli arresti domiciliari «il pubblico ministero verifica la permanenza dei predetti motivi» e continua a farlo «con cadenza mensile», salvo quando il Dap comunica che ci sono posti disponibili nelle strutture sanitarie del carcere o comunque nei reparti degli ospedali dedicati al carcere.