È ormai alle porte la riapertura delle frontiere dell’Unione europea agli stati stranieri, ed in questi giorni il dibattito si concentra sulla possibilità di accettare anche viaggiatori provenienti dagli Stati Uniti, zona fortemente colpita dal coronavirus. E così l’Europa si ritrova a fare una lista di chi, a partire dal 1 luglio, potrà entrare e chi ancora no. L’obiettivo primario, ovviamente, è quello di tutelare l’area Schengen e prendere decisioni in comune, evitando che ogni Stato scelga di agire di propria iniziativa ed in maniera diversa rispetto agli altri.
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Al momento sarebbero circa 15 i paesi riammessi, fra cui la Nuova Zelanda, l’Australia, il Venezuela, Cuba, India, Marocco, Corea del Sud, Giappone. La Cina, che ufficialmente dichiara tasso di contagio 0, è un caso speciale: i suoi cittadini potranno entrare in Europa ma solo a condizione che anche le autorità di Pechino facciano altrettanto con gli europei a casa loro, il che al momento non succede. Da notare che il Regno Unito, dove la pandemia continua purtroppo a registrare alti tassi di contagio, non è in alcuna lista: nonostante la Brexit infatti, durante il periodo di transizione Londra fa ancora formalmente parte dell’Ue e viene trattata come Paese membro.
Ma l’accordo definitivo non c’è ancora. Non è facile, tuttavia, trovare un accordo, soprattutto perché gli Stati di una certa rilevanza (primo su tutti gli Stati Uniti) risulterebbero esclusi. Gli Usa, infatti, sono ancora considerati a rischio, secondo i criteri epidemiologici richiesti dall’Unione europea per essere ammessi all’elenco dei paesi ai quali verranno riaperte le porte. Del resto, gli Stati Uniti hanno registrato un nuovo record di contagi, oltre 40 mila nuovi casi. Secondo la Johns Hopkins University sono stati 40.135, e portano il numero totale a 2.467.510 pazienti che hanno contratto il coronavirus, con una percentuale tra il 5 e l’8% degli americani infetta.