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Sean Connery, genesi di un mito

Marco Fallanca di Marco Fallanca
Novembre 1, 2020
in Cultura
Tempo di lettura: 4 mins read
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Sean Connery, genesi di un mito

Se n’è andato nel sonno, alle Bahamas, a 90 anni, Sir Sean Connery, una classe irraggiungibile, fino all’ultimo istante di vita. E noi che pensavamo che l’unico, vero, impareggiabile 007 non potesse morire mai… Nessun agguato, stavolta, di sicari inviati dalla nemica organizzazione criminale Spectre pronti ad accopparlo: non c’è lo zampino dell’Ernst Stavro Blofeld del grande caratterista Donald Pleasence o di Emilio Largo, intrepretato in “Thunderball: Operazione tuono” da uno straordinario Adolfo Celi, con la caratteristica benda sull’occhio, a donare un’aura misteriosa e tenebrosa a un personaggio di gran fascino; né quello del Dr. No di Joseph Wiseman o dell’Auric Goldfinger del tedesco Gert Fröbe, che tiene in scacco l’agente segreto al servizio di sua maestà per tutta la durata della pellicola («Si aspetta che io parli? » «No, io mi aspetto che lei muoia ») e mandante di uno dei più celebri omicidi del cinema, quello della povera Jill Masterson (Shirley Eaton) interamente ricoperta d’oro.

Una carriera straordinaria, al fianco di registi del calibro di Alfred Hitchcock e Sidney Lumet e costellata da ruoli indimenticabili come lo Sherlock Holmes francescano ed ex inquisitore Guglielmo da Baskerville ne “Il nome della rosa” di Jean-Jacques Annaud, Mark Rutland in “Marnie”, il capitano sovietivo di “Caccia a ottobre rosso”, il maestro d’armi Ramírez di “Highlander – L’ultimo immortale”, il padre di Harrison Ford in “Indiana Jones e l’ultima crociata” o, ancora, l’irlandese Jimmy Malone nella Chicago proibizionista anni venti di “The Untouchables” di Brian De Palma, che gli è valso l’Oscar e un Golden Globe da non protagonista. Ruoli memorabili, accomunati da una presenza rassicurante, prestante e fascinosa che torreggia sicura come un marchio.

Ma in smoking, pistola d’ordinanza, Rolex Submariner 6538, la Jaguar E-Type, le donne pronte a compiacerlo, era destinato ad essere consacrato dal mito del celebre protagonista della spy story ideata da Ian Fleming che interpretò casualmente per la prima volta, nel 1962, in “Licenza di uccidere”. Parrucchino, sopracciglia folte, brillantina, sguardo penetrante e sorriso affabile nell’affascianante silhouette di James Bond, era sempre pronto a lanciarsi in una nuova pericolosa avventura, sempre disinvolto e risoluto nel tirarsi fuori dalle trappole mortali più spietate. Figlio di un camionista di origini irlandesi e una cameriera scozzese, si ritrovò a 14 anni, il 20 luglio 1944, in piena Seconda Guerra Mondiale, a lavorare da “milkman” a Edimburgo, nel quartiere di Fountainbridge. Ventuno scellini a settimana, quelli della Scotmid, fino all’arruolamento in Marina.

Bagnino, muratore, lavapiatti e “verniciatore di bare”, poi, nel 1953, candidato scozzese e terzo classificato al concorso per culturisti Mister Universe, indetto dalla National Amateur Bodybuilders Association. Canto e ballo a Londra, dove prende parte a un musical, prima di fare l’autostop su Hollywood Boulevard e di apparire sul grande schermo per Terence Young e accanto a Lana Turner, per la quale si ritrovò a fare a pugni con il gangster Johnny Stompanato, convinto che fra i due ci fosse un flirt.

Ma quel fisico possente e slanciato – con il quale scalzò anche Cary Grant, il favorito David Niven e Gregory Peck nel concorso indetto dal London Express per la parte di Bond, grazie all’endorsement di Dana, moglie del produttore Alber “Cubby” Broccoli – compensava la calvizie di cui in pochi si accorsero all’inizio: il toupet utilizzato in 007 rimase, infatti, segreto per alcuni anni, fino a quando ne “La collina del disonore”, film antimilitarista del solito Lumet, si iniziò a scorgere mentre indossava i panni di un soldato ribelle in un campo di prigionia. Cinque film da contratto, ai quali – complice il fiasco del suo sostituto George Lazenby e un’industria cinematografica hollywoodiana incline a nuovi modelli estetici – seguì un sesto, “Una cascata di diamanti”. Tra la fantascienza di “Zardoz”, il Colonnello Arbuthnot di “Assassinio sull’Orient Express”, “L’uomo che volle farsi re” di John Huston e un attempato paladino dei poveri in “Robin e Marian” di Richard Lester assieme a Audrey Hepburn, si attesta l’ultima apparizione – fuori serie – nei panni di un maturo 007 nel remake “Mai dire mai”, diretto da Irving Kershner. Dal pool anticorruzione di Elliott Ness, con l’intoccabile Sean Connery ucciso crivellato di colpi, sanguinante e urlante dentro casa, è approdato ai ruoli epici e cavallereschi della maturità. Quelli che, in qualche modo, esprimono e restituiscono con ieratica autorevolezza il fuoco patriottico che ardeva nel cuore scozzese del divo dall’accento e dalla voce inconfondibile: quella professione di fede per lo Scottish National Party – sugellata tatuaggio sull’avambraccio braccio destro “Scotland Forever”, che sempre si rifiutò si esibire sullo schermo – sufficiente a mettere a rischio il cavalierato concesso dal sovrano britannico. Riconoscimento giunto con l’autonomia parlamentare della Scozia, in occasione di una cerimonia d’investitura che Sean Connery –ironicamente interprete al cinema di mitici sovrani come Artù e Riccardo Cuor di Leone – pretese si tenesse a Edimburgo e per la quale indossò il tradizionale kilt.

Dopo aver sedotto Catherine Zeta-Jones in“Entrapment” e una sontuosa prova in “Scoprendo Forrester”, si ritira sul più bello, quando avrebbe potuto regalare al pubblico almeno altre due fantastiche interpretazioni: clamorosi i rifiuti dei ruoli di Gandalf ne “Il signore degli anelli” e di Albus Silente nella saga di Harry Potter, andati poi ad altrettanti iconici interpreti, rispettivamente Ian McKellen e Richard Harris (sostituito alla morte da Michael Gambon). Il buen retiro dalle scene, con l’amata moglie Micheline, è allora quello delle Bahamas, celebre ambientazione di numerosi episodi della serie di Bond e dove ha inizio proprio l’ultimo episodio di 007, quello che non abbiamo ancora visto in sala. Nel clima tropicale dell’assolata Nassau ha raggiunto il suo “alter ego”, l’altro 007, Roger Moore, di cui è stato sincero amico e secondo il quale “è stato il miglior James Bond di sempre”. Qualsiasi film, in qualsiasi ruolo si preferisca identicare il mito di Sean Connery, rimarrà sempre un’icona, un simbolo, un sorriso ironico e uno sguardo fiero come quello di un leone. Sarà già in viaggio, a bordo della sua Aston Martin, verso nuove missioni segretissime, pronto ancora una volta a ordinare un Vodka Martini, rigorosamente agitato e non mescolato. In fondo, si vive solo due volte…

Tags: 007James BondSean Connery
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