Joe Biden nasce a Scraton, Pennsylvania, nel 1942. Oggi quello stesso Stato è quello – ma non il solo – che gli permette di completare la sua straordinaria rimonta e di diventare a breve il 46esimo Presidente degli Stati Uniti d’America, dopo aver eroso gli oltre 700.000 voti di vantaggio al presidente in carica Donald Trump. Sembra ormai apparecchiata la vittoria elettorale alle presidenziali e, se dovesse essere confermata anche la chiamata di Georgia, Arizona e Nevada, un clamoroso risultato lo vedrebbe ormai prossimo a lasciare al rivale 5-6 punti a livello nazionale e a vincere con 306 potenziali grandi elettori, strappando anche due Stati storicamente repubblicani. Non sembrano esserci ormai più dubbi sullo scenario che si va delinenando e, mentre in Georgia continua lo spoglio delle ultime 4.000 schede rimanenti e dei voti dall’estero e militari ancora in arrivo, nella sede della campagna dei democratici nel Delaware è già stato allestito il palco da dove probabilmente parlerà Biden. L’aviazione, dal canto suo, ha già chiuso lo spazio aereo sopra la sua casa di Wilmington per un raggio di un miglio, così come la Federal Aviation Administration ha temporaneamente sospeso il sorvolo sul vicino Chase Center. Insomma, il trattamento che spetta ai presidenti.
LEGGI ANCHE: Usa 2020, Joe Biden corre verso la Casa Bianca
E se, da un lato, alla luce dei ricorsi legali avviati dall’amministrazione Trump, Fox News ha dato precise indicazioni ai propri giornalisti di non riferirsi a Biden come “presidente eletto”, anche dopo che gli saranno assegnati i residui Stati che gli permetteranno di raggiungere ufficialmente i 270 voti elettorali e quindi di ipotecare la Casa Bianca, dall’altro gli sfidanti replicano prontamente: “Gli americani decideranno questa elezione. Il governo americano è perfettamente capace di scortare gli intrusi fuori dalla Casa Bianca”, ha dichiarato così la campagna dell’ex vicepresidente in merito alle indiscrezioni secondo le quali Trump non intende concedere la vittoria così facilmente. Gli alleati stessi sono stati informati che, anche in presenza di una vistosa disfatta, l’attuale inquilino della Casa Bianca non intende gettare la spugna. Nemmeno i consiglieri, né tantomeno il Capo dello Staff della Bianca Mark Meadows, hanno finora provato a far scendere Trump a più miti consigli, fomentando la narrazione della frode elettorale, che però al momento non trova riscontri e fondamento. A breve, l’ingrato compito potrebbe toccare proprio a Jared Kushner o alla figlia Ivanka. Donald Trump è chiamato a ritornare in fretta alla realtà. Dovrà farlo, in un modo o nell’altro.
Uno dei cavalli di battaglia è stata proprio la falla dei 300.000 voti postali, forse smarriti nei centri di distribuzione, che mancano all’appello e rischiano di non essere mai contati. E, sempre secondo stime orientative, oltre 80.000 di questi sono stati spediti in Stati chiave, abbastanza da poter influenzare il risultato finale nel duello per la Casa Bianca. Sono state quasi 65 milioni le preferenze espresse a mezzo posta, due terzi di un voto anticipato che ha superato i cento milioni e ha spinto l’affluenza complessiva alle urne al record assoluto di 160 milioni. Le schede incriminate sono state, tuttavia, ricevute e scannerizzate nelle sedi dello United States Postal Service ma non esiste traccia della loro uscita e del recapito presso gli uffici elettorali che avrebbero dovuto scrutinarle. La speranza è quella delle scadenze prolungate, anche di oltre una settimana, consentite in ben 22 Stati.
Ma per quanto uno scenario così teso all’indomani delle urne non si vedesse dal 2000, dai tempi di George W. Bush v. Al Gore, a sconvolgere oggi non è tanto il temperamento del presidente quanto il suo tentativo di alimentare strenuamente il sospetto sul processo democratico. A guardar bene, in crisi c’è l’intero modello americano che, con l’ascesa politica del tycoon, nel 2016 ha consentito l’incarnazione di quel risentimento antisistema e dell’antipolitica scagliatosi poi puntuale contro la candidata democratica Hillary Clinton. Quattro anni dopo, tra mille criticità, Trump è riuscito a consolidare e forse ad ampliare la propria base elettorale, continuando a sguazzare incurante nel medesimo populismo. Quello di ieri notte è stato definito dalla CNN “il più disonesto discorso della presidenza Trump”. Da più parti emerge come molte fasce della popolazione, capitanate dai principali network, abbiano preso definitivamente le distanze da un’invettiva che ha portato il candidato repubblicano ad attribuirsi la vittoria anticipata delle elezioni presidenziali (anche in Stati dove il conteggio è ancora in corso e in altri nei quali è chiuso in favore dello sfidante) o a denunciare “senza alcuna prova” brogli ai seggi.
Il fact checking delle sue affermazioni smentisce, infatti, categoricamente siano stati espressi voti all’indomani delle elezioni. Le stesse perplessità circa il voto via posta, demonizzato dai repubblicani nei mesi precedenti il voto, sono da ritenersi infondate: il sistema è in uso da decenni e non si sono mai verificati casi di frode elettorale, nemmeno nel 2016 quando un quarto dei voti fu espresso proprio a mezzo posta. È falsa pure l’accusa rivolta ai democratici di aver consentito in Pennsylvania il computo delle schede arrivate entro tre giorni dal voto (ma spedite entro il giorno delle elezioni): è stata la Corte Suprema nazionale a giudicare il caso e non ha modificato il proprio orientamento. Nonostante le tensioni all’esterno, al TFT Center, l’edificio di Detroit in cui si procede al computo dei voti postali, erano regolarmente presenti gli osservatori repubblicani e numerosi giornalisti, come testimoniato da foto e video. La copertura parziale delle finestre dell’edificio è giustificata dal tentativo di riprendere illegalmente le persone all’interno, consentito solo alle troupe autorizzate. Non ci sono evidenze di corruzione nemmeno a Detroit e Philadelphia, né prove di manipolazione del voto. In Georgia poi, l’interruzione dello spoglio nella contea di Fulton è stata dovuta all’allegamento conseguente all’esplosione di un tubo dell’acqua. Nessuna scheda elettorale risulta essere stata danneggiata. Anche l’accusa all’apparato elettorale del Peach State appare del tutto pretestuosa, considerato il governo repubblicano nello Stato e il pregresso endorsement di Trump al segretario di Stato locale Brad Raffensperger, oggi supervisore proprio del procedimento elettorale. Un chiaro tentativo di manipolare e riscrivere a proprio piacimento la narrazione dell’elezione a colpi di autentiche fake news. Proprio in queste ore, però, Joe Biden prepara il discorso della vittoria, probabilmente previsto già in serata. Trump, di contro, non ha preparato il concession speech. Non lo farà, almeno per adesso.