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Biden – Harris, il ritratto del ticket presidenziale

Marco Fallanca di Marco Fallanca
Novembre 8, 2020
in Mondo
Tempo di lettura: 6 mins read
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Biden - Harris, il ritratto del ticket presidenziale

Joseph Robinette “Joe” Biden Jr., 78 anni tra due settimane, è appena stato eletto 46° Presidente degli Stati Uniti d’America con il maggior numero di voti popolari nella storia delle presidenziali americane e, dopo le rimonte in Pennsylvania e Nevada, si avvicina a quota 300 grandi elettori. Quasi mezzo secolo di attività alle spalle, tra politica internazionale e gaffes impunite. Un uomo affabile e loquace, della middle class, segnato da drammatiche tragedie familiari. Questo è Joe Biden, democratico moderato, otto anni trascorsi alla Casa Bianca da vice di Barack Obama.

Nato in una famiglia di origine irlandese a Scranton, la grigia città delle miniere di carbone simbolo del fiasco dell’industria tradizionale, dall’età di dieci anni ha vissuto nel Delaware, Stato nel quale, negli anni al Senato, avrebbe fatto rientro ogni sera in treno, da pendolare, per far da padre ai figli una volta rimasto vedovo (anche per via di questa esperienza sarebbe diventato un grande sostenitore dell’implementazione del sistema ferroviario). Da bambino era soprannominato “Dash” perché non riusciva a completare le frasi, ha superato la bulbuzie esercitandosi allo specchio. Il padre, ricco e scapestrato da giovane, aveva subito rovesci finanziari e il piccolo Joe lavorava sette giorni su sette, vendendo auto da un concessionario, pulendo caldaie, passando la domenica dietro un banchetto al mercato. Mai studente brillante ma ottimo atleta, nel 1972, a soli 29 anni, dopo aver fatto l’avvocato e il rappresentante della sua contea, si candidò al Senato contro Caleb Boggs, repubblicano di lungo corso: fu soprattutto la sorella Valerie a gestire e finanziare la campagna, mentre i sondaggi lo davano in svantaggio di 30 punti. Solo lui e la famiglia credevano ce la potesse fare, e fu eletto per poco più di un punto percenutale, diventando il sesto più giovane eletto nella storia della camera alta. La gioia, però, fu breve perché poco prima di Natale, la moglie Neilia e la figlia di 13 mesi Naomi rimasero uccise in un incidente stradale. I due maschi, Beau e Hunter, finirono in ospedale gravemente feriti ma il giovane senatore fu convinto dai suoi colleghi a non lasciare il seggio.

In 36 anni da senatore – lasciò il seggio nel 2009, con il primato di più giovane senatore ad aver compiuto sette mandati consecutivi – ha condotto numerose battaglie in tema di diritti civili: portano la sua firma provvedimenti a tutela degli afroamericani e delle donne, da sempre contrario all’intervento in Vietnam e a favore della limitazione della vendita delle armi. Già Presidente per tre lustri della Commissione Esteri (anche in fasi cruciali come la risposta all’11 settembre 2001 e le votazioni in Congresso sull’inizio delle ostilità contro l’Iraq di Saddam Hussein), il senatore Biden aveva cominciato a occuparsi di affari internazionali nel 1997, dopo aver perso, da numero uno della Commissione Giustizia, la battaglia contro la nomina del giudice nero conservatore Clarence Thomas alla Corte Suprema: uno dei togati che, in caso di ricorso di Trump, potrebbe osteggiargli la strada per Washington D.C. È la terza volta che corre per la Casa Bianca: nel 1987 fu sconfitto alle primarie da Michael Dukakis, quando si scoprì che aveva “copiato” un discorso da un leader inglese. Nel 2008, a Obama aveva consegnato un ricco bagaglio di esperienza e il cuore sincero di un amico, partner e supporter del più giovane presidente che, tra i molti incarichi, gli aveva affidato quello di affrontare il “disastro continuo” della crisi economica della classe media, da lui definita “la vera spina dorsale del Paese”. Fu lui il più duro nell’accusare Julian Assange, definendo l’attivista di WikiLeaks un “terrorista hi-tech”, a supervisionare la spesa per le infrastrutture del piano straordinario voluto da Obama per contrastare la grande recessione e a seguire tutta la politica estera degli Stati Uniti verso l’Iraq, fino al ritiro delle truppe Usa nel 2011.

Nel 2015 anche Beau, ex procuratore del Delaware, capitano della Guardia Nazionale e candidato governatore, muore lasciando nel padre un vuoto incolmabile. Biden aveva deciso di vendere la sua casa nel Delaware per sostenere i costi molto elevati delle cure ma Obama si offrì pagarle interamente. Hunter, il figlio minore, gli ha causato inquietudini e guai, tra dipendenze dalla droga e business spericolati in paesi come Ucraina e Cina rimbalzati sul padre con accuse di conflitto d’interesse. Biden ha anche una figlia, Ashley, avuta dalla seconda moglie Jill Jacobs, italo-americana con nonna siciliana e docente in una community college, sposata nel 1977 nella Chiesa dell’Onu a New York. Ha due cani: Major e Champ. Nel 2017 fu insignito della medaglia presidenziale della libertà con lode, massima onorificenza civile del Paese, definito dal presidente uscente come “un leone della storia americana e un esempio per le generazioni future”.

Quattro anni fa, devastato dalla morte del figlio, rifiutò di candidarsi consacrando Hillary Clinton a candidata democratica. Della presidenza Trump ha definito “dannosa” la guerra commerciale con la Cina e ha duramente criticato la scelta del presidente di ritirare le truppe statunitensi dalla Siria, aprendo la strada all’aggressione dei turchi contro i curdi. È anche il primo presidente cattolico dopo JFK – in tasca ha il rosario di Beau –, è favorevole all’aborto e, in linea con papa Francesco, alla difesa del clima: «Rientrerò nell’accordo di Parigi il primo giorno alla Casa Bianca» ha promesso all’indomani delle elezioni. E proprio al figlio scomparso promise che si sarebbe candidato. Il prossimo 20 gennaio si insedierà da più anziano inquilino della storia della Casa Bianca al momento dell’assunsione della carica. Insieme a lui, ci sarà in ticket Kamala Harris. Gli Stati Uniti ripartiranno dalla democrazia, dall’uguaglianza, da un uomo e da una donna che credono nel lavoro, nell’aumento del salario minimo, nella lotta al cambiamento climatico e nella tutela dei diritti civili e politici.

Anche Kamala Harris è già entrata nella storia come la prima donna, nera, di origini indiane e giamaicane, cresciuta in mezzo agli attivisti afroamericani, a diventare vicepresidente degli Stati Uniti. A 54 anni è ancora il “volto giovane” della Casa Bianca di Biden, quello pronto a prendere per mano il partito democratico e a guardare al futuro, che potrebbe vederla riuscire nell’impresa sfumata a Hillary Clinton. La madre, Shyamala Gopalan, biologa induista immigrata dall’India, l’ha voluta chiamare col nome in sanscrito di una divinità indù della prosperità, mentre il padre Donald, nero giamaicano professore di economia a Stanford, le ha donato il colore della pelle. È cresciuta in mezzo alla lotta per i diritti civili, tra proteste e incontri sociali in salotti “radical” con scrittori neri come Ralph Ellison, Carter G. Woodson e W.E.B. DuBois. Dal nonno materno ex diplomatico ha preso la passione per gli studi – legge e relazioni internazionali –, dalla Berkeley/Oakland in cui è nata e cresciuta, quella per le proteste di strada e la lotta alla criminalità.

Già procuratrice distrettuale di San Francisco prima e generale della California poi – prima donna anche in questo caso a ricoprire l’ufficio –, ha conquistato un seggio in Senato nel 2016, prima senatrice di colore a rappresentare la California al Congresso. E a Donald Trump ha subito dichiarato guerra, non ritenendolo l’incarnazione né l’aspirazione della sua America e di quella di milioni di donne e di minoranze. Il Senato l’ha lanciata sul palcoscenico della politica nazionale con le audizioni, tra le altre, dell’ex ministro della giustizia Jeff Session e di Brett Kavanaugh, fresco di nomina alla Corte Suprema da parte del presidente. L’esito negativo delle primarie le ha concesso però l’occasione di diventare un volto familiare per milioni di democratici, conquistati anche grazie al duro scontro con Biden, per il quale si rivela subito una delle rivali più agguerrite, rinfacciandogli di essersi compiaciuto della collaborazione con due senatori segregazionisti negli anni ‘70. Non contenta, ha raccontato all’America di conoscere una ragazzina nera che fortunatamente aveva potuto frequentare una scuola migliore grazie a un servizio di scuolabus per le minoranze che vivevano nei quartieri più disagiati; servizio al quale – ha ricordato – il senatore Biden si era opposto: quella ragazzina era lei.

Con il suo tono inquisitorio e un iconico sorriso, paragonato a quello celebre di Ronald Reagan, già prima del 2016, Kamala Harris aveva suscitato la curiosità di Barack Obama, che l’aveva definita la più bella procuratrice americana: un commento che l’aveva mandata su tutte le furie tanto da chiedere, e ottenere, le scuse dell’allora presidente. Colta, combattiva e carismatica, è stata da molti definita la “Obama donna”, soprannome che non le ha impedito di criticare l’ex presidente sull’immigrazione e l’ordine di espellere ogni immigrato senza documenti, a prescindere dai precedenti penali. Alla tradizionale famiglia americana dei Biden, Harris replica con una famiglia moderna e allargata: sposata con Douglas Emhoff, ebreo di Brooklyn e primo Second Gentleman della storia, non ha figli propri ma è la “momala” di Cole e Ella, figlie di primo letto del marito. Ricordando un po’ Michelle Obama, da senatrice non ha mai voluto identificarsi nello stereotipo di un gruppo sociale, razziale, etnico o religioso, presentandosi sempre e soltanto come una “americana orgogliosa”. Kamala Harris farà il suo ingresso alla Casa Bianca dalla porta principale, quella da cui un tempo ormai lontano una donna (o un uomo) col colore della sua pelle non avrebbe avuto accesso. Rappresenta l’America cosmopolita delle diversità – quella con un background multiculturale e interreligioso, quella meno bianca e meno protestante – e potrebbe diventare la leader del futuro, già da ora candidata in pectore alla successione.

Tags: Elezioni presidenziali 2020Joe BidenKamala HarrisPresidente UsaUsa 2020
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