Alla fine Mario Draghi ha seguito alla lettera il modello di Massimiliano Cencelli, il democristiano che inventò il mitologico manuale che porta il suo nome. Il governo dei competenti, quindi, nella sua parte politica è il risultato di un’elaborata distribuzione di poltrone. Una divisione effettuata col bilancino che alla fine finisce inevitabilmente per sacrificare competenze ed esperienza.
La proporzione tra tecnici e politici è di uno a due: i primi sono otto, i secondi 15. Sono i tecnici, però, a guidare i ministeri chiave. Nove i ministri confermati dal precedente esecutivo. Quattro ministeri vanno al Movimento 5 stelle, principale gruppo politico in Parlamento. Tre dicasteri vanno invece a Lega, Forza Italia e Pd: partiti che nel 2018 avevano eletto tutti più o meno lo stesso numero di parlamentari. Ai gruppi più piccoli – Italia viva e Leu – resta un ministero a testa. Dopo tanti annunci le donne sono solo 8 su 23: poco più di un terzo. L’età media si alza a 54 anni, dopo i 48 del Conte 2 e i 47 del Conte 1.
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La novità principale è legata al ministero che suscitava maggior interesse nell’opinione pubblica: quello alla transizione ecologica, chiesto da Beppe Grillo come condizione per l’appoggio del M5s. Il nuovo dicastero prende il posto del ministero dell’Ambiente, che assorbirà le competenze in materia energetica al momento assegnate agli altri ministeri. Il titolare del nuovo dicastero presiederà anche un comitato interministeriale che sarà creato per la transizione energetica. Un ruolo delicato per il quale la scelta di Draghi è finita sul fisico Roberto Cingolani, responsabile dell’innovazione tecnologica di Leonardo con al suo attivo ben 100 brevetti. Non c’è più il ministero per gli Affari europei, mentre i dicasteri chiave per la gestione del Recovery plan sono tutti affidati a tecnici: segno che Draghi intende tenere per sé e per le persone di sua fiducia sia i rapporti con l’Europa che la stesura del delicato piano di fondi europei.
Per guidare la transizione digitale, il nuovo presidente del Consiglio Mario Draghi ha scelto Vittorio Colao. È la rivincita del super manager dopo l’esperienza alla guida della task force per la ripartenza nella Fase 2: chiamato nell’aprile 2020 a guidare la squadra di 17 esperti che avrebbe dovuto disegnare il piano per rilanciare l’economia nella cosiddetta fase due, dopo la terribile primavera del Covid, il progetto di Colao era stato messo nel cassetto dall’allora premier Giuseppe Conte. Adesso potrebbe costituire una parte importante del nuovo Next Generation Eu, che evidentemente Draghi vuole riscrivere, con la nuova squadra. Il ministero della transizione digitale sembra cucito su misura addosso a Colao, grande sostenitore della rivoluzione digitale, ha sempre predicato «digital first» per formazione e convinzione. Il manager, nato a Brescia 59 anni fa, ha costruito gran parte della sua carriera in Vodafone, che ha guidato prima in Italia e poi a livello globale fino al maggio 2018. In mezzo una breve esperienza alla guida di Rcs MediaGroup. Prima l’Università Bocconi, un Mba a Harvard e il debutto in lavorativo alla McKinsey. Attualmente è senior advisor del fondo di private equity americano General Atlantic.
Alle Infrastrutture e Trasporti arriva Enrico Giovannini. Professore ordinario all’Università “Tor Vergata” di Roma, dove insegna Statistica e analisi e Politiche per lo sviluppo sostenibile, docente di Sviluppo sostenibile presso l’Università Luiss e la Scuola nazionale di amministrazione, è anche presidente della Commissione per la redazione della Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva del ministero dell’Economia e membro del Comitato scientifico dell’Ufficio parlamentare di bilancio. Infaticabile paladino dello sviluppo sostenibile e di una visione green dell’industria e del mondo, nell’ottobre del 2014 è stato nominato Cavaliere di Gran Croce al merito della Repubblica. Ha più volte sottolineato la necessità in Italia di un ministero ad hoc per gestire l’attuazione e l’aggiornamento della Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile, come già avviene in altri Paesi europei.
Daniele Franco, classe 1953, direttore generale di Banca d’Italia dal 1° gennaio 2020, è il nuovo ministro dell’Economia. Laureato in Scienze politiche all’Università di Padova, ha conseguito un Master in organizzazione aziendale presso il Consorzio universitario di organizzazione aziendale di Padova e un Master in economia presso l’Università di York, in Gran Bretagna. Assunto in Banca d’Italia nel 1979, dal 1994 al 1997 è Consigliere economico presso la Direzione generale degli Affari economici e finanziari della Commissione europea. Dal 2007 al 2011 è Capo del Servizio studi di struttura economica e finanziaria e dal 2011 al 2013 è direttore centrale dell’Area ricerca economica e relazioni internazionali. Dal 20 maggio 2013 al 19 maggio 2019 è Ragioniere generale dello Stato.