Ormai manca poco. Dopo Pfizer, AstraZeneca e Moderna, sbarca in Italia anche il vaccino monodose della Johnson & Johnson: le prime 184 mila fiale dovrebbero essere prese in consegna nell’hub dell’aeroporto militare di Pratica di Mare, alle porte di Roma, fra martedì e mercoledì, altre 300 mila fiale sono attese entro fine aprile, mentre nel secondo trimestre le dosi previste per l’Italia sono in tutto 7,3 milioni.
Non mancano però le incognite. Johnson & Johnson, secondo quanto riportato dai media americani, avrebbe deciso di tagliare la produzione del vaccino nelle prossime settimane, ma non è chiaro se questo impatterà e come sulle forniture destinate all’Unione Europea e all’Italia. Inoltre negli ultimi giorni gli effetti collaterali del vaccino Johnson & Johnson sono finiti sotto la lente di ingrandimento delle autorità sanitarie Usa per 4 casi di trombosi su persone vaccinate, ma non sono stati accertati legami con la somministrazione del farmaco. Anche l’Ema ha rimesso comunque sotto osservazione il farmaco.
Realizzato con la “tecnologia” degli adenovirus come vettore virale, la peculiarità del vaccino sviluppato dal colosso statunitense è nella singola dose, una caratteristica in grado potenzialmente di rivoluzionare la campagna vaccinale. Oltre al vantaggio della singola somministrazione, il vaccino Johnson & Johnson ha dalla sua il fatto di poter essere conservato ad una temperatura di “frigorifero” per tre mesi e per due anni a meno venti gradi centigradi. Un vantaggio notevole in termini di logistica. Caratteristiche che vanno ad incidere notevolmente sui costi. Secondo l’azienda, pur considerando che il prezzo dipende dalle trattative con l’Ue, una singola dose costerebbe non più di qualche euro.
A differenza dei già noti vaccini a mRNA di Pfizer-BioNTech e Moderna, il prodotto di Johnson & Johnson appartiene alla categoria dei vaccini a vettore virale come AstraZeneca e Sputnik V. L’obbiettivo comune di tutti i vaccini è far produrre al sistema immunitario gli anticorpi diretti contro la proteina spike del coronavirus. Ciò che cambia nel caso dei vettori virali è il metodo con cui ciò si verifica. Mentre per quelli a mRNA si inietta direttamente l’informazione, quelli a vettore virale contengono una porzione di Dna – che serve per far produrre la proteina spike – incapsulata all’interno di un adenovirus. Una volta iniettato all’interno del corpo, il virus – reso opportunamente innocuo – rilascia il materiale genetico utile a produrre la proteina. Una strategia che si è dimostrata già utile nella produzione del vaccino per Ebola . Ma a differenza di AstraZeneca e Sputnik V, il prodotto di Johnson & Johnson ha la caratteristica di essere somministrato in un’unica dose.
Secondo i dati analizzati da Ema ,che hanno portato all’approvazione del vaccino in tutto il territorio dell’Ue, derivanti del trial clinico, il vaccino si è dimostrato efficace nel ridurre del 67% i casi sintomatici di Covid-19 a due settimane dalla somministrazione. Efficacia che raggiunge l’85% nella prevenzione delle forme gravi della malattia. L’efficacia nell’evitare ricoveri e decessi a 4 settimane dalla somministrazione è stata del 100%. Percentuali importanti che variano però tra le varie aree geografiche: 72% negli Stati Uniti, 66% in America Latina e 57% in Sudafrica. Particolarmente interessante è proprio l’ultimo dato relativo al Sudafrica, dove è presente la variante B.1.351. Pur essendo meno efficace, il vaccino si è dimostrato utile contro le forme da moderate a gravi. Ma c’è un altro dato che fa ben sperare: il 41% dei partecipanti allo studio apparteneva a categorie ad aumentato rischio di progressione a forme gravi di Covid-19, ovvero persone obese, diabetiche, ipertese, sieropositive e immunocompromesse.