Tutti in classe. È questa una delle novità annunciate dal governo in merito alle riaperture previste a partire dal 26 aprile. Nelle regioni in zona gialla e arancione, anche gli studenti delle scuole superiori — che al momento sono in classe per il 50-75% nelle regioni in arancione — potranno riprendere le lezioni totalmente in classe. Nelle zone rosse (al momento Val d’Aosta, Puglia e Sardegna) potranno tornare in classe tutti fino alla terza media e dal 50 al 75% alle superiori. Insieme alle scuole possono riaprire le aule anche le università.
Le regole, per ora, restano quelle del protocollo approvato lo scorso agosto: distanziamento di un metro almeno, mascherine, lavaggio delle mani, aerazione tra una lezione e l’altra. Era una promessa fatta dal premier Mario Draghi e che sarà confermata nel prossimo decreto: poco più di un mese insieme in presenza. Lo ha ribadito anche il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi: «Con questa scelta mandiamo un messaggio di speranza e di responsabilità. Dobbiamo progressivamente tornare a una nuova normalità e dobbiamo farlo a partire dalla scuola. Nei prossimi giorni lavoreremo con i nostri Uffici territoriali, gli Enti locali, le scuole, i tavoli prefettizi».
Nel mondo della scuola l’annuncio del ritorno in classe è stata accolto come un segnale di speranza ma anche di preoccupazione. «La scuola è un luogo naturale di assembramento. Se si torna al 100% in molte aule non sarà possibile rispettare il metro di distanziamento», ha detto all’Ansa il presidente dell’Associazione nazionale presidi (Anp), Antonello Giannelli. La criticità denunciata da mesi da sindacati, ed esperti sanitari, riguarda la mancanza di strutture scolastiche adeguate al distanziamento. «In questo caso – continua Giannelli – la scuola si vedrà costretta a ridurre la presenza dei ragazzi e alternarla alla dad, facendo rotazioni. Bisogna valutare questo rischio». Rischio che è stato mitigato in parte dalla vaccinazione del personale scolastico.
Uno degli aspetti critici continua a essere quello dei trasporti. Una difficoltà riconosciuta anche dal presidente del Friuli Venezia-Giulia, Massimiliano Fedriga, che ha parlato di «un limite fisico, perlomeno per quanto riguarda i trasporti, per esempio nell’attesa dell’autobus. Servono anni non mesi per ordinare nuovi mezzi. È chiaro che bisognerà organizzare anche questo. Abbiamo chiesto un incontro al Governo, bisognerà rivedere in modo consistente gli orari di entrata ed uscita dalle scuole, non è un problema di risorse».