«È uno dei miei musicisti preferiti, un artista che crea una musica unica». A incensare Paolo Angeli, il chitarrista sardo in concerto venerdì 11 giugno al Centro Zō di Catania, è nientemeno che Pat Metheny. L’incontro fra Pat e Paolo avvenne nel 2001, quando l’artista del Missouri vide Angeli suonare la sua «chitarra sarda preparata» e ne fu tanto colpito da decidere di farsene costruire una. Un paio d’anni dopo, la liuteria Stanzani di Bologna consegnava due nuovi modelli gemelli della “Paolo Angeli’s guitar”. Una per Paolo, l’altra per Pat.
Come una batteria, ha i pedali. Come un pianoforte, ha i martelletti. Del violoncello ha l’archetto. E poi: eliche, mollette, diciotto corde per ottenere i suoni più disparati. Tutto in una chitarra, anzi, la chitarra sarda preparata, un pezzo unico al mondo, sognato e suonato da Paolo Angeli. «In continua evoluzione, come la musica», sorride al telefono nel vento della Maddalena. «La chitarra continua a essere modificata. Musica e strumento sono “work in progress”. Quando ascolto un nuovo suono, subito penso come posso inglobarlo nella mia musica. La mia chitarra è concepita come una piccola orchestra, alla quale si aggiungono nuovi strumenti. Con due ponti mobili, ad esempio, ho recentemente introdotto un suono simile al basso di Jaco Pastorius e un altro che ricorda la kora africana».
L’uomo che si fa orchestra. La rivoluzione del concetto di solista. Era ovvio che Pat Metheny si appassionasse all’idea, tanto da applicarla, nove anni dopo, nel suo progetto Orchestrion. «Lui stesso ne ha creata una con 42 corde», sottolinea Angeli.
La “Paolo Angeli’s guitar” è il manifesto della musica del cinquantenne artista sardo. Convergenza di tanti stimoli: le lezioni di Cane su Partch e John Cage, inventore del piano preparato, gli incontri con John Rose, australiano che anticipò il violino preparato, e Fred Frith, «che è il mio maestro». E poi Paco de Lucia, «che dieci anni fa mi ha fatto prendere una sbandata per la chitarra flamenca», Pat Metheny, «del quale ammiro l’ampia libertà d’espressione, dal free jazz al rock», ma soprattutto l’artigiano Giovanni Scanu, «alla cui bottega ho lavorato tra il 1993 ed il 2003, apprendendo la tradizione», ricorda Angeli. «Con questo bagaglio culturale legato alle radici sono partito alla scoperta di nuovi orizzonti, con uno sguardo proiettato verso l’avanguardia e l’innovazione. Un po’ come ha fatto Mimmo Cuticchio sviluppando il concetto di cuntastorie».
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Come si definisce lui stesso, Paolo Angeli è un navigatore solitario nell’arcipelago della musica. Partito dal mare di Palau, nel nord della Sardegna, nel 2005 è approdato a Barcellona, Catalogna, «dove il Mediterraneo si respira ad ogni incontro culturale: è la sintesi di linguaggi ibridi come il mio», spiega. Con l’orecchio rivolto sempre alla sua terra. Che ispira Jar’a, l’album pubblicato lo scorso aprile. Sin dal titolo. «“Jar’a” in sardo indica alcuni importanti altopiani, come quelli di Serri e Gesturi», spiega l’autore. «Sono luoghi ancestrali, dove si trova un santuario nuragico e dove puoi incontrare cavalli selvaggi. Sono alture da dove puoi vedere vasti panorami. L’album vuole essere un omaggio alla dimensione degli spazi aperti, agli orizzonti senza confini, in un momento in cui, a causa del lockdown, si era costretti a stare in casa. L’album è stato infatti registrato a Barcellona, nella mia stanza studio».
Quegli spazi aperti che lo scorso giugno Paolo Angeli ha ritrovato nella sua casa all’isola della Maddalena, nella cui natura e nei cui panorami ha trovato rifugio per tenere lontani gli incubi della pandemia. «C’è tantissima Sardegna in Jar’a», prosegue. «Il brano Sulu è il cuore della suite strutturata in sei parti. Rappresenta l’inedito incontro tra la mia chitarra e la mia vocalità legata al nord della Sardegna, ai cori galluresi, con il canto a tenore barbaricino di Omar Bandinu. È nato improvvisando. È un ibrido. È una Sardegna fuori dal tempo, ancestrale, che guarda nello stesso tempo al futuro, che s’incrocia con il post-rock di derivazione anglosassone».
Jar’a è il «ritorno in superficie» dalle profondità di quel mare che continua a navigare da solitario alla scoperta di nuovi mondi. Paolo Angeli ha suonato in ambiti jazz e world, è stato in tour con Iosonouncane, ha accompagnato Stefano Benni in teatro, ha registrato un album di cover dei Radiohead. «Scopro nuovi mondi con i quali instaurare un dialogo. Dagli incontri ogni musicista esce arricchito, perché apprende un linguaggio musicale diverso».
Venerdì 11 giugno toccherà all’artista sardo riaccendere in Sicilia la musica live dopo la lunga pausa forzata legata alla pandemia. Nelle vesti di tutor della fase finale del workshop SoundTrack Residencies 2.0, realizzato in collaborazione con il Ministero della Cultura e la Siae nell’ambito del progetto #PerChiCrea, aprirà la stagione estiva di eventi dello Zō con un concerto che ripercorrerà tutte le principali tappe della sua carriera per concentrarsi sul nuovo album Jar’a. «Per me è un onore e una emozione speciale riportare la musica a Catania. È stato innaturale fermarsi, contro natura. Come dire a un marinaio di non salpare. Un marinaio di 70 anni può accettare, può prendersi una pausa, ma un musicista giovane ha ancora tanto da esplorare, indagare. La nostra vita è fatta di incontri», commenta. E poi rivela un segreto: «Lo sai dove è nata la prima chitarra sarda? A Catania, in via Consolazione, nella liuteria di Gaetano Miroglio, nel Dopoguerra venivano prodotte le chitarre sarde. È un’altra prova di come le due isole, Sicilia e Sardegna, abbiano molto in comune».