La variante Delta potrebbe portare presto nuove zone rosse in Italia. Ha una trasmissibilità più elevata e, ad oggi, una diffusione del 16,8%. La mutazione non è più resistente al vaccino, a patto che si completi il ciclo con la seconda dose: ma mentre da lunedì 28 giugno tutto il Paese sarà in zona bianca e cadrà l’obbligo di portare la mascherina all’aperto (ma bisognerà tenerla sempre con sé), il rischio è che l’Italia si ritrovi a partire da metà agosto con un nuovo aumento dei casi di coronavirus. E proprio i focolai estivi potrebbero portare a nuovi lockdown su base locale.
Un termine che si pensava quasi superato, un lontano ricordo del periodo più nero della pandemia. A rilanciare tale possibilità è stato Franco Locatelli, coordinatore del Cts e presidente del Consiglio superiore di Sanità. Locatelli ha spiegato che in caso di individuazioni di nuovi cluster di variante Delta non è da escludere la possibilità di ripristinare zone rosse locali. «Dobbiamo lavorare nella maniera più intensiva sul tracciamento e sul sequenziamento, perché solo in questo modo riusciamo ad intercettare segnali di diffusione della variante indiana», ha spiegato Locatelli sottolineando che l’Italia sta sequenziando «nella media europea».
Ma, ha aggiunto, se si aumenta il sequenziamento, «ci sono poi delle decisioni che devono seguire per cercare di contenere il tutto, altrimenti il sequenziamento diventa un esercizio inutile». Quindi vanno fatte delle zone rosse «se necessario per fermare i cluster, come ad esempio è successo in Umbria quando si è verificata la diffusione della variante brasiliana». Per questo la raccomandazione contenuta nella circolare del ministero della Salute è quella di rafforzare il tracciamento, considerando che la variante Delta può essere associata a un rischio più alto di ricoveri.
Anche se i numeri del bollettino del ministero della Salute sull’emergenza per il momento ci dicono che la situazione epidemica in Italia è in continuo e netto miglioramento dagli inizi di aprile, assistiamo ad una crescita continua della percentuale di infetti colpiti dalla variante Delta, la cui presenza è stimata ormai al 16,8%. Proprio il precedente dell’andamento osservato nel Regno Unito fa ipotizzare che l’ Italia si possa trovare in una situazione paragonabile a quella inglese agli inizi del mese di maggio, prima che la crescita degli infetti diventasse percepibile.
I dati del Sistema di Sorveglianza Integrata Covid-19 dell’Iss indicano che la variante più diffusa in Italia è ancora l’Alfa, con il 74,92%, ma secondo molti esperti la circolazione della Delta potrebbe aumentare nelle prossime settimane. «Abbiamo probabilmente circa un mese, un mese e mezzo prima che si arrivi alla prevalenza della variante Delta in Italia», ha detto Roberto Battiston dell’università di Trento all’Ansa. «Quale sarà l’effetto sul numero di infetti, e sul numero di casi gravi, dipenderà dalla frazione delle persone vaccinate, in particolare dalla frazione di persone che avranno completato il ciclo vaccinale». Al ritmo attuale di vaccinazione, «la doppia vaccinazione dovrebbe avere raggiunto il 50% degli italiani per il primi giorni di agosto».
L’elevata trasmissibilità della variante Delta, dal 40 e il 60% più alta di quella Alfa, a sua volta più contagiosa del 50% rispetto al ceppo originario di Wuhan, è il maggiore pericolo per i prossimi mesi. L’aumento dei ricoveri nel Regno Unito nella popolazione britannica non vaccinata fa pensare anche che possa essere più aggressiva, ma non nei confronti delle persone completamente immunizzate dal vaccino o guarite da Covid-19. I dati dello studio britannico Zoe CovidSympton evidenziano che il sintomo più diffuso all’inizio è il mal di testa, seguito da mal di gola, naso che cola e febbre. Invece la tosse e la perdita dell’olfatto, tipici del ceppo originario di Sars-Cov-2, sono praticamente inesistenti. «Il rischio dei sintomi lievi – sostiene il direttore della prevenzione del ministero della Salute, Gianni Rezza -rischiano di essere scambiati magari per un raffreddore soprattutto tra i più giovani che hanno meno probabilità di sviluppare una malattia grave».