È iniziata a Glasgow, in Scozia, la Cop26, la conferenza sul clima organizzata dalle Nazioni Unite cui partecipano quasi 200 paesi del mondo, con l’obiettivo di impegnarsi in iniziative condivise per contrastare il riscaldamento globale. L’incontro è stato avviato con una serie di dichiarazioni ufficiali da parte degli organizzatori e del governo del Regno Unito, che ha il compito di ospitare e coordinare le attività delle delegazioni. Alok Sharma, nominato dal governo di Londra a presiedere la conferenza, l’ha definita «la nostra ultima, miglior speranza di mantenere raggiungibili gli 1,5°», la soglia entro cui contenere l’aumento delle temperature.
L’incontro è stato definito cruciale per avere nuovi impegni dai più grandi paesi inquinanti, come Stati Uniti, Cina, India, Unione Europea e Russia, sulla riduzione delle emissioni di anidride carbonica, il principale gas serra. La Cop26 è stata preceduta dalla sessione preparatoria Pre-Cop26 e dall’evento dedicato ai giovani Youth4Climate, entrambi ospitati dall’Italia, a Milano. Il vertice prende il via all’indomani del summit del G20, nel corso del quale i leader dei Paesi economicamente più ricchi hanno promesso di impegnarsi a limitare il riscaldamento globale con «azioni significative ed efficaci», senza però specificare come o con che tempi.
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“Cop” significa “Conferenza delle parti”, in riferimento alle “parti” contraenti che hanno siglato gli accordi sul clima stipulati a Rio nel 1992 (la Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici). Gli Stati che di volta in volta hanno aderito agli accordi si sono riuniti in vertici annuali a partire dal 1995, a Berlino. Quello di Glasgow è il ventiseieisimo vertice annuale, che dunque prende il nome di Cop26. L’evento avrebbe dovuto svolgersi nel 2020 ma è stato rimandato di un anno a causa della pandemia di Covid-19.
Il punto di partenza indispensabile per capire la posta in gioco a Glasgow è rappresentato dall’Accordo di Parigi sul clima, firmato nel 2015 ed entrato in vigore nel 2016. La Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici di Rio prevedeva la possibilità di siglare dei «protocolli» relativi alle emissioni, come quello di Kyoto (1997) e poi, appunto, quello di Parigi. Nel 2015, i Paesi firmatari si sono impegnati a contenere il riscaldamento globale «ben al di sotto dei 2° dal livello pre-industriale» attraverso un taglio delle emissioni di gas serra. Ciascun Paese ha dovuto creare un piano nazionale sulla riduzione delle proprie emissioni, il cosiddetto Nationally Determined Contribution (NDC) o «contributo determinato a livello nazionale», che va però aggiornato ogni cinque anni. La Cop di Glasgow rappresenta il banco di prova di quest’ultimo impegno. Secondo gli esperti, gli obiettivi indicati nel 2015 devono essere aggiornati, perché ritenuti ormai insufficienti per limitare il surriscaldamento.
La Cop26 prende le mosse dall’ultima Conferenza delle Parti, svoltasi a Madrid nel 2019. Allora, la Cop25 si concluse con un nulla di fatto: le negoziazioni si protrassero a lungo, ma non si riuscì a trovare un accordo sul tema dei mercati del carbonio , e la questione fu rimandata al summit di Glasgow. Commentando l’avvio della Cop26, il primo ministro britannico Boris Johnson ha detto che: «Se Glasgow fallisce, fallisce l’intero progetto». Xi Jinping, il presidente cinese, non parteciperà direttamente alla Cop26, ma dovrebbe inviare un proprio intervento scritto, e sarà comunque presente una delegazione cinese. Anche il presidente russo Vladimir Putin non sarà a Glasgow, ma dovrebbero esserci alcuni delegati della Russia.
Glasgow sarà scenario di intensi negoziati tra gli Stati sui tagli alle emissioni di gas serra. «Dobbiamo passare dalle parole all’azione reale su carbone, automobili, denaro da investire nella transizione e alberi», ha dichiarato Boris Johnson. L’obiettivo principale è quello di limitare l’aumento delle temperature a 1,5 °C, intervenendo su taglio delle emissioni, decarbonizzazione e deforestazione. Ma, a corollario, gli Stati discuteranno anche di tre decisioni prese a Parigi e mai attuate: il fondo da 100 miliardi di dollari all’anno per finanziare gli interventi di decarbonizzazione nelle economie in via di sviluppo, la costituzione di un mercato internazionale delle emissioni di carbonio, il completamento del “Paris Rulebook”, ovvero l’insieme delle regole per attuare l’Accordo e valutare quanto viene fatto da ciascun Paese.