È pronta la prima bozza ufficiale della Dichiarazione finale di Cop26: un documento che dovrà essere discusso nei prossimi giorni dai 200 delegati di tutto il mondo riuniti a Glasgow, ma che sicuramente scontenterà gli Stati ancora fortemente legati alla produzione e al consumo di combustibili fossili e allo stesso tempo appare ancora al ribasso rispetto alle aspettative dei Paesi più vulnerabili, quelli che stanno già subendo gli effetti più devastanti del cambiamento climatico.
Tra gli obiettivi principali la «riduzione di anidride carbonica del 45% entro il 2030, rispetto al livello del 2010, e a zero intorno alla metà del secolo», al fine di «limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi fino al 2100». La bozza riconosce «gli impatti devastanti della pandemia di Coronavirus del 2019 e l’importanza di garantire una ripresa globale sostenibile, resiliente e inclusiva, dimostrando solidarietà, in particolare con i partiti dei paesi in via di sviluppo». Perché il cambiamento climatico «è una preoccupazione comune dell’umanità» per cui bisogna agire considerando «diritti umani, diritto alla salute, diritti dei popoli indigeni, comunità locali, migranti, bambini, persone con disabilità e persone vulnerabili, diritto allo sviluppo, parità di genere, empowerment delle donne ed equità intergenerazionale».
E per la prima volta nella storia della Cop, «invita le parti ad accelerare la graduale eliminazione del carbone e dei sussidi per i combustibili fossili», anche se non viene fissata una deadline. Nella bozza si «esprime allarme e preoccupazione per il fatto che le attività umane hanno causato circa 1,1 °C di riscaldamento fino ad oggi, che gli impatti si stanno già facendo sentire in ogni regione e che il carbonio budget coerente con il raggiungimento dell’obiettivo di temperatura dell’accordo di Parigi è stato rapidamente esaurito». E si annunciano «adattamento e finanziamento in questo decennio critico per colmare le lacune nell’attuazione del obiettivi a lungo termine dell’Accordo di Parigi».
L’obiettivo principale scritto nero su bianco è quello della riduzione delle emissioni globali di anidride carbonica del 45% per il 2030 rispetto al livello del 2010 per arrivare allo “zero netto” per la metà del secolo. Nel documento viene sottolineato «che limitare il riscaldamento globale sotto gli 1,5 gradi Celsius entro il 2100 richiede riduzioni rapide, profonde e sostenute delle emissioni globali di gas serra». I firmatari vengono esortati a «considerare ulteriori opportunità per ridurre le emissioni di gas serra diverse dall’anidride carbonica» e anche «ad accelerare l’eliminazione graduale del carbone e dei sussidi ai combustibili fossili». La via è quella «delle soluzioni basate sulla natura e degli approcci basati sugli ecosistemi, compresa la protezione e il ripristino delle foreste, per ridurre le emissioni, migliorare gli assorbimenti e proteggere la biodiversità».
Per quanto riguarda il fondo per il clima destinato ai Paesi meno sviluppati e più colpiti dalla crisi, il documento «nota con rammarico» che il target dei 100 miliardi all’anno dal 2020 «non è stato ancora raggiunto» e «sottolinea la necessità di un aumento del sostegno delle parti ai Paesi in via di sviluppo». Accoglie favorevolmente i più recenti impegni presi dai Paesi più sviluppati ma non dà alcuna spinta per accelerare i finanziamenti. Manca di specifiche anche il capitolo dedicato alle “perdite e danni”, ovvero i risarcimenti per le nazioni più povere che già subiscono le conseguenze più dure della crisi climatica. Anche se è importante che il tema venga riconosciuto come prioritario.
Ovviamente questa bozza scontenta i grandi inquinatori con piani climatici non allineati all’obbiettivo di 1.5°C, come Cina e India. Russia e Arabia Saudita non gradiranno l’obiettivo dello “zero netto” di emissioni, all’Australia non piacerà quello della “eliminazione accelerata del carbone”. Mentre i Paesi in via di sviluppo chiederanno maggiori dettagli su finanza e aiuti per l’adattamento.