«Ecco un breve riassunto della Cop26: Bla, bla, bla. Ma il vero lavoro continua fuori da queste sale. E non ci arrenderemo mai, mai». Così Greta Thunberg commenta l’accordo raggiunto alla Conferenza dell’Onu sul clima. I circa 200 Paesi riuniti alla Cop26 hanno adottato il “Glasgow Climate Pact” per accelerare la lotta ai cambiamenti climatici e delineare le basi per il suo finanziamento futuro, ma il testo è stato annacquato con un compromesso sulla fine del carbone. Accettata la richiesta di India e Cina di sostituire il termine “phase out” (uscita) dal carbone per la produzione energetica con il termine “phase down” (diminuzione).
Anche il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, non ha nascosto la sua delusione per l’intesa raggiunta a Glasgow. «La catastrofe climatica resta alle porte», ha detto. L’accordo raggiunto «è certamente benvenuto, ma è un compromesso, e riflette gli interessi, le condizioni, le contraddizioni e lo stato della volontà politica nel mondo oggi. È un passo importante ma la collettiva volontà politica non è stata abbastanza per superare le profonde contraddizioni».
L’India ha difeso fonti fossili e sussidi e ha spuntato in extremis un ulteriore depotenziamento del passaggio sul carbone: da graduale «abbandono», si passa a graduale «riduzione». Attirandosi un coro di critiche. I Paesi in via di sviluppo hanno «diritto all’uso responsabile dei combustibili fossili», ha detto il ministro dell’Ambiente, Bhupender Yadav. «Non è compito dell’Onu dare prescrizioni sulle fonti energetiche» da abbandonare o potenziare, ha sottolineato Yadav.
E alla fine India e Cina vincono il braccio di ferro e riescono ad annacquare il paragrafo sul carbone. L’articolo 36 chiedeva di «accelerare gli sforzi per eliminare gradualmente il carbone senza sistemi di cattura del carbonio e sussidi inefficienti per i combustibili fossili», che di per sé era già un indebolimento di una proposta precedente. L’India ha proposto di inserire invece di «eliminazione» la «riduzione progressiva», un emendamento che è stato accettato dal resto dei Paesi, anche se a malincuore: se i negoziati fossero falliti, sarebbe stato un fallimento di dimensioni storiche.
Molti Paesi mostrano il loro disappunto, come la Svizzera, per la scelta di «annacquare» il linguaggio sui combustibili fossili e sul carbone, ma affermano di accettare comunque il testo. Più delusi, però, sono i Paesi più vulnerabili, che non hanno ottenuto impegni più concreti sull’aumento dei finanziamenti per l’adattamento e per la mancata creazione di una struttura ad hoc per finanziare le perdite e i danni subiti a causa del cambiamento climatico. I delegati delle Isole Marshall e delle Isole Fiji, infatti, esprimono stupore e delusione proprio perché per loro non è stato riaperto l’accordo, mentre è stato fatto per accontentare Cina e India. Il delegato di Antigua e Barbuda fa lo stesso.
Anche Stati Uniti e Ue si sono opposti alla richiesta di 134 paesi che rappresentano l’85% della popolazione mondiale affinché fosse istituita una “Glasgow Facility on Loss and Damage”, un organismo di consegna formale per fornire sostegno finanziario a quei paesi che già stanno vivendo disastri climatici. I due organsmi non hanno voluto essere ritenuti finanziariamente responsabili per le loro emissioni storiche, anche se l’accordo finale prevede un dialogo di due anni per discutere le modalità che potrebbero portare alla creazione di tale strumento.
Ma alla fine l’accordo è stato raggiunto. O è meglio chiamarlo compromesso al ribasso. Il presidente della Cop26, Alok Sharma, si è fatto prendere da un momento di emozione scusandosi perché il negoziato a Glasgow si è concluso con il passaggio annacquato nella bozza sui combustibili fossili e il carbone. Un’emozione, la sua, che ha provocato un applauso fragoroso e alcune standing ovation: «Mi scuso per il modo in cui questo processo si è svolto», ha detto Sharma, dicendosi «profondamente dispiaciuto» dopo aver ascoltato le delegazioni dei Paesi più a rischio per il cambiamento climatico. «È anche importante però proteggere questo pacchetto», ha aggiunto, la voce spezzata.
C’è da chiedersi se, a questo punto, sia ancora a portata di mano l’obiettivo di restare sotto la soglia di 1,5 gradi centigradi. Secondo il rapporto aggiornato sul divario delle emissioni dell’Unep, gli attuali Ndc (contributi determinati nazionali) porteranno a un riscaldamento globale di 2,4° C. Le emissioni globali del 2030 dovrebbero essere del 13,7% in più rispetto al 2010, mentre dovrebbero essere ridotte di almeno il 45% per avere a portata di mano l’obiettivo di 1,5°C entro la fine del secolo. Con questo obiettivo, ora i paesi sono invitati ad aumentare i loro obiettivi 2030 prima di riconvocarsi in Egitto per la Cop27 alla fine del 2022.