Molto bello questo libro di Carla Stroppa, segnato, come sempre, da una viva partecipazione personale. L’autrice lo dichiara espressamente nella sua lucida e programmatica introduzione. In cui chiarisce la sua scelta di scrittura, che si compie «nel solco conoscitivo della psicologia analitica di C.G. Jung, ma in modo sostanzialmente indipendente dalle astrazioni teoriche». «Desidero piuttosto raccontare- scrive l’autrice- lo faccio in costante ascolto delle voci plurime che mi raggiungono, uscendo dalle bocche dei miei pazienti». Il libro è dunque una testimonianza, prima ancora che un saggio, in cui si intrecciano descrizione e riflessione in un contesto ampio di riferimenti scientifici e di citazioni letterarie, ma anche e soprattutto di personali considerazioni. E’ del resto il linguaggio, innanzitutto, a caratterizzare il lavoro di Stroppa, che denota una forte personalità narrativa e analitica.
Il libro è dedicato a coloro che sono “decentrati”, lontani dal centro della propria essenza vitale, in perenne conflitto interiore, proprio perché “spostati”, carenti di amore e per ciò incapaci di darsi una reale identità umana e psicologica e una pace interiore. Essi si sentono sovente come esiliati da sè, disillusi, non di rado inutili e disorientati. Ad essi è mancato il riflesso amorevole e identitario dello sguardo altrui. Sicché il compito dell’analista è di facilitare il ripristino di quell’equilibrio fondamentale tra l’immagine di sé e quella che il mondo ha di lui. Compito non facile, che può durare una vita.
LEGGI ANCHE: “Luigi Vanvitelli, l’uomo, l’artista” raccontato da Giuseppe De Nitto
Di qui prende le mosse l’autrice, che investiga a fondo le implicazioni umane e psicologiche di quel “decentramento” e dei suoi guasti, delle deformazioni psichiche e conoscitive e dei condizionamenti ai quali lo “spostato” finisce per cedere. A questa analisi dedica gran parte del volume, con illuminanti memorie e riferimenti alla sua pratica analitica. In particolare Stroppa analizza il sentimento dell’invidia, fonte di profonde lacerazioni, sul piano individuale e, di riflesso, su quello sociale.
Nella seconda parte il libro l’autrice si addentra in una lettura metaforica della pienezza esistenziale, intesa come “sapiente asinità dell’anima”, facendo riferimento alla celebre opera di Lucio Apuleio, grazie alla quale è possibile compiere un salto ontologico, accedere alla saggezza e alla libertà. Una libertà che diventa anche consapevolezza umana e sociale. Anche per questo nella conclusione l’autrice scrive: «Dedico questo libro a problematizzare l’antropologia attuale che procede verso una progressiva e irreversibile artificializzazione della natura umana e dell’ambiente». In tempo di pandemia il libro di Stroppa traccia un profilo di speranza, di riscatto di sé, ma anche di rinnovata identità umana.
Giorgio Agnisola