Mario (nome di fantasia) potrà morire. Ci sono voluti 14 mesi, due ricorsi giudiziari e una diffida a due ministri della Repubblica. Ma una prima, decisiva vittoria adesso è arrivata: il 43enne residente in un piccolo paese marchigiano, tetraplegico da 10 anni, è il primo paziente in Italia a ottenere il via libera ad accedere al suicidio assistito, come disciplinato dalla Corte costituzionale nella sentenza Cappato/Dj Fabo del 2019. Lo ha annunciato l’Associazione Coscioni: «Mario è il primo malato a ottenere il via libera al suicidio medicalmente assistito in Italia».
Su ordine del Tribunale di Ancona, il Comitato etico della Regione Marche ha accertato la sussistenza dei quattro parametri dettati dalla Consulta: ovvero «è tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale – riassume Filomena Gallo, segretaria dell’Associazione Luca Coscioni e membro del team di sei legali che ha seguito il caso -; è affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che reputa intollerabili; è pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli; e non è sua intenzione avvalersi di altri trattamenti sanitari per il dolore e la sedazione profonda». Una decisione arrivata dopo una lunghissima inerzia dell’Azienda sanitaria regionale (Asur), che a fine agosto aveva portato Mario a denunciare la struttura per omissione d’atti d’ufficio e mettere in mora il ministro della Salute Roberto Speranza e quella della Giustizia Marta Cartabia chiedendo loro di «ripristinare la legalità violata».
La decisione dell’Asl delle Marche è stata resa pubblica dall’associazione Luca Coscioni, che aveva seguito fin dall’inizio la vicenda del paziente tetraplegico, un uomo di 43 anni immobilizzato da dieci anni a causa di un incidente stradale e in condizioni irreversibili. L’autorizzazione concessa dall’Asl marchigiana è possibile grazie a una sentenza della Corte Costituzionale che nel settembre del 2019 si era espressa sul caso di Marco Cappato, il politico e attivista dell’associazione Luca Coscioni che era stato accusato – in base all’articolo 580 del codice penale – di avere aiutato a suicidarsi Fabiano Antoniani, più noto come dj Fabo, rimasto paralizzato e cieco dopo un incidente.
La Corte aveva stabilito che, a determinate condizioni, l’assistenza al suicidio non è punibile e che la pratica di assistenza al suicidio non è equiparabile all’istigazione al suicidio (equiparazione che fa invece l’articolo 580 del codice penale). La sentenza non interveniva direttamente sul diritto al suicidio assistito, quindi, ma su chi sceglie di aiutare coloro che hanno deciso di morire. Indirettamente, però, la sentenza ammetteva il suicidio assistito in condizioni molto circoscritte, e chiamava in causa su questo tema il Servizio sanitario nazionale. Spetta quindi alle strutture sanitarie pubbliche verificare le condizioni in cui è ammesso il suicidio assistito.