Oggi sono in viaggio per Roma. Ho portato con me un libro da leggere: Oltre le nazioni di Bauman. Mi colpisce una frase in cui parla di ‘nuvole scure addensate sul futuro dell’Unione Europea’. Distolgo lo sguardo dalle pagine, mi fermo a guardare il paesaggio dal finestrino dell’autobus. Medito sulle sue parole. Se penso a quanto sta accadendo ai confini con la Polonia negli ultimi giorni, ai migranti che ancora muoiono in mare, a come in Europa la risposta all’epidemia di Covid sia stata poco unitaria non posso che essere d’accordo con lui. Dal 2012 a oggi poco è cambiato, anzi alcuni problemi si sono incancreniti e nel frattempo ne sono sorti dei nuovi.
Bauman però in sole 56 pagine con uno stile essenziale, chiaro, con una logica stringente va dritto al cuore del problema: l’Europa, se vuole continuare ad esistere, è chiamata ad affrontare una grande sfida, cioè a superare la forma dello Stato-nazione, nato dopo la pace di Vestfalia del 1648. Lo Stato-nazione non è più in grado di svolgere il suo compito perché viviamo in una società globale, interconnessa, e ciò fa sì che nessuna delle agenzie politiche esistenti e tramandate fino ad oggi sia adeguata al suo ruolo. Nessuna di loro può affrontare i problemi del presente, ed è per questo motivo che i cittadini sono esposti allo spettacolo poco edificante (p. 4) di governi che per ‘sapere se possono o non possono fare ciò che si propongono, e soprattutto ciò che i loro cittadini ardentemente auspicano e chiedono, guardano ai mercati’. Gli unici soggetti che sfuggono al controllo degli Stati-nazione sono invece i mercati, cioè ‘forze senza nome e senza volto che nessuno ha eletto e nessuno sa dove abitino: forze che nessuno è in grado di richiamare all’ordine, mettere in riga, controllare, guidare’ che si sono arrogate (non senza la connivenza, l’approvazione e il tacito o esplicito sostegno dei poveri e impotenti governi degli Stati) il diritto di stabilire il confine tra ciò che è e non è realistico’; i parlamenti insomma non riescono a fare ciò per cui sono stati eletti e spesso sono costretti a smentire le promesse fatte in campagna elettorale appena sono arrivati al potere (p.4). Si è creata insomma una crisi della fiducia, in quanto gli Stati-nazione, ‘apparentemente sovrani’, non sono in grado di affrontare lo strapotere ‘del mercato e delle borse’.
Secondo Bauman noi viviamo tuttora nell’era ‘post-vestfalica’ e la nostra modernità è lacerata dalle ferite ‘non sanate’ e ‘non sanabili’ che il principio cuius regio, eius natio ha inflitto a tutti quei soggetti che ‘lottano per proteggere e conservare la propria integrazione’. In questo contesto le uniche forze che sono state in grado di sfidare lo spettro della sovranità vestfalica sono quelle della finanza, interessi commerciali, informazione, traffici di droga e armamenti e terrorismo, ma la sfida del futuro, rispetto a cui c’è un grande ritardo, è quella di costruire agenzie politiche globali capaci di riprendere il controllo di queste forze. Per fare questo serve però una ‘coscienza cosmopolita adeguata alla nuova condizione di interdipendenza globale dell’umanità’. Né l’Onu né l’Unione Europea, come è ora, rispondono a questa esigenza. L’Europa si è infatti data una moneta comune che è sostenuta dai ministri delle finanze dei rispettivi paesi che hanno aderito all’Euro continuamente esposta agli alti e bassi delle politiche nazionali dei vari paesi, e soggetta a due centri di autorità fra loro non coordinabili, cioè le istituzioni europee e l’elettorato racchiuso nei confini nazionali. La ‘meta-sfida’ del futuro è dunque colmare il divario fra nostra interdipendenza, che è ormai globale, e i nostri strumenti di azione che invece sono locali.
L’Europa per uscire da questo stato di crisi ha una quindi una sola strada da percorrere, cioè quella della costruzione di una solidarietà paneuropea e transnazionale, che dovrebbe unificare le solidarietà locali (p.15 e seguenti). È a questo progetto che secondo lo studioso l’Europa dovrebbe mirare, cioè ‘all’unificazione generale dell’umanità’ (per usare le parole di Immanuel Kant) e alla pace universale e mondiale. Su questo terreno e non su quello dei miracoli economici l’Europa può dare un grande contributo all’umanità, in quanto nei secoli ha appreso ‘l’arte di convivere’ (p.19). Dovrebbe quindi l’Europa valorizzare, rispettando le differenze e senza omologare, l’enorme patrimonio di saggezza umana che è stato tramandato nelle varie lingue europee perché abbiamo tanto da imparare gli uni dagli altri (p.22).
Il futuro dell’Europa politica non è quindi legato all’economia ma alle sorti della cultura europea, cioè alla sua capacità di trasformare le diaspore culturali e ‘la differenziazione culturale da passiva in attiva, di vedere in essa non qualcosa da tollerare ma da esaltare, di accettarla come risorsa anziché bollarla come impedimento’. Una lezione quella di Bauman ancora valida, che forse la politica dovrebbe attentamente meditare, che offre a tutti noi un orizzonte di senso da cui ripartire per affrontare le grandi sfide del futuro, a partire dall’emergenza ambientale.