Renato Rascel «è attor comico, attore drammatico, regista, ballerino provetto, ex batterista indiavolato, autore di riviste, tifoso della Roma, giardiniere, meccanico, campione nel nuoto e nel popolare giuoco della nizza, sa cucinare i fagioli con le cotiche, improvvisa versi e si fa la barba con il rasoio a mano libera. Io credo che sia proprio il correre con la mente appresso a queste cose che vorrebbe fare tutte insieme a scatenare quei suoi discorsi paradossali e sconclusionati che formano la delizia degli spettatori». Scriveva così sulle pagine del Radiocorriere un anonimo critico citato da Elisabetta Castiglioni nel libro Renato Rascel. Un protagonista dello spettacolo del Novecento (Iacobelli editore). Era il 1953 e la giornalista, critica, promoter culturale e ricercatrice di storia dello spettacolo, autrice del saggio, in quell’anno non era neanche nata.
«I miei ricordi, infatti, risalgono agli anni Settanta e sono frammenti di musica», ricorda Elisabetta Castiglioni. «Quando ero davanti alla televisione, ebbi modo di farmi entrare in testa una canzoncina che era la sigla di un programma pomeridiano e che recitava così: “Noi siamo piccoli, ma cresceremo … e allora, virgola, ce la vedremo! Chiusa parentesi, riporto sei, noi siamo piccoli, ma dateci del lei!”. Si trattava di Buonasera con…, e Rascel era accompagnato da un pubblico di piccoli (veri) in cui mi identificavo. C’erano favole e storielle deliziose. Era come un nonno affettuoso che, raccontando, riusciva a trasmettere un sorriso costante. Questa sensazione di benessere interiore generata da qualche calembour o melodia azzeccatissima credo mi sia rimasta ogni volta che poi mi capitava, in tv o alla radio, di risentire la sua voce».
L’artista romano, sebbene i suoi natali risalgano a Torino, alla cui anagrafe era stato registrato nel 1912 con il nome di Renato Ranucci, divertiva grandi e piccini. Celebre per alcune “macchiette”, come il Gaucho e il Corazziere, lui che fu definito “il piccoletto” (era alto 1,57 metri), era cresciuto nell’avanspettacolo per passare poi alla rivista e al cinema ed arrivare sino a Hollywood sulle ali della sua canzone Arrivederci Roma, la più cantata nel mondo dopo O Sole mio e Volare. E poi la televisione, il teatro, Sanremo, la narrativa. Sempre anticipando i tempi con la sua comicità surreale, mai volgare, apparentemente ingenua, spesso sagace e maliziosa. Una formula innovativa che spesso gli procurò problemi.
Questo piccolo grande attore che mescolava Petrolini, Allais e Charlot – come viene suggerito nel libro – viene riscoperto da Elisabetta Castiglioni quando, studentessa universitaria, comincia a effettuare le prime ricerche sul mondo dell’avanspettacolo.
«Rascel ritornò alla mia mente attraverso i suoi scritti, le sue facezie», ricostruisce. «Era un periodo in cui analizzavamo il contesto storico attraverso il teatro considerato “minore”, quello di rivista, ma soprattutto attraverso la palestra dell’improvvisazione del talento su palcoscenici scamuffi e spesso sporchi di pomodori o “gatti morti” lanciati insieme a pesanti sberleffi dal pubblico in sala, esigentissimo. Ecco, lì Rascel si fece le ossa e battezzò la sua arte. Lo fece con l’arte dell’ascolto per capire che cosa desiderasse il pubblico e iniziò con un’autoironia surreale spiazzando la platea e conquistando sorrisi e risate con il suo omino stralunato che affogava in una palandrana col taschino dietro e il cappello a caciottella e con dei nonsense linguistici che altro non erano se non lo stravolgimento personalizzato di tiritere e modi di dire.
Le sue affabulazioni si completavano poi con un saper cantare e ballare alla perfezione, nonché suonare vari strumenti, a iniziare dalla batteria, creata a casa percuotendo i mestoli di cucina sulle padelle nei teneri anni d’infanzia. Credo che questa curiosità e attenzione negli altri e nelle arti dello spettacolo del giovane Rascel sia la cosa che mi ha colpito di più e che gli ha permesso in ogni campo – dal teatro al cinema, dalla musica a radio e televisione, nonché alla scrittura di favole per bambini – di creare un suo stile e di diventare un, anzi, “il” grandissimo “Piccoletto”».
Vent’anni dopo quella ricerca, con la quale Castiglioni conseguì un dottorato alla “Sapienza” di Roma, si è ampliata in un volume di oltre 400 pagine, corredato di fotografie d’epoca, che ricostruisce la storia di un protagonista della storia della cultura italiana attraverso la genesi e i retroscena delle sue opere e performance per farne emergere la poeticità e l’unicità.
Come compagna in questo viaggio nel mondo di Renato Rascel, l’autrice ha avuto Giuditta Saltarini, showgirl oggi ottantunenne, compagna per tanti anni di Rascel, con il quale hanno avuto anche un figlio.
«Giuditta è stata sicuramente il motore di questo mio input di ricerca rasceliana perché, conosciuta casualmente in una boutique di abbigliamento che gestiva, ha avuto così tanta fiducia nel mio progetto di ricerca che acconsentì ad aprire gli armadi di casa sua», racconta Elisabetta Castiglioni. «Senza le sue spiegazioni legate a fotografie o a scritti autografi, non avrei potuto appassionarmi tanto. La voglia di “inedito” o comunque non ancora esplorato mi entrò proprio nel sangue e questa passione, che per tre anni mi spinse a passare giornate intere in archivi pubblici e privati, emeroteche, biblioteche e teche multimediali in un’epoca dove Internet non aveva ancora preso il sopravvento, mi consentì di integrare i gustosi aneddoti proferiti da Giuditta nei suoi ricordi di moglie e compagna professionale a studi e documenti, per la maggior parte copioni, saggi e articoli di giornale. Il che mi permise di entrare nella testa di un grande artista, anche se, purtroppo, non ebbi modo di conoscerlo personalmente (morì infatti nel ‘91, qualche anno prima della mia ricerca).
Dagli armadi di casa Rascel uscì, all’epoca, di tutto! Dall’elmo originale del Corazziere alle foto delle sue performance per i soldati in Tripolitania, da lettere di autori arcinoti che lo volevano per recitare in teatro o sul set dei personaggi costruiti ad hoc (Zavattini, Strehler, Marchesi, Pasolini, Soldati… tanto per fare dei nomi) a fotografie della sua infanzia, fino a copioni scritti da lui stesso e mai realizzati. Un percorso a frammenti in cui ogni pezzo della scacchiera, anzi di un gigantesco collage aveva una propria identità autonoma pur legandosi ad un contesto effervescente, quale fu lo spettacolo del Dopoguerra».
Avanspettacolo, rivista, comico, drammatico, teatro, tv, cinema, musica, dove, secondo lei, Rascel ha lasciato l’impronta più importante?
«Ho provato a interrogare le persone su questo per vedere se la complessità dei linguaggi dello spettacolo in cui Rascel navigava amabilmente e indistintamente con lo stesso talento e professionalità potesse avere un suo rilievo in qualche opera o ambito particolare. Ma, dalle risposte, ho avuto la conferma che Rascel è ricordato per tante cose, a seconda della fruizione, generazione o modelli di ascolto: forse il primato se lo contendono Padre Brown e Il Corazziere, ma i cinefili non dimenticano due cult d’autore come Il cappotto di Lattuada e Policarpo ufficiale di scrittura di Soldati. Se interrogassimo uno straniero ci direbbe senz’altro Arrivederci Roma, ma un bambino degli anni Cinquanta ci canterebbe subito “Dove vanno a finire i palloncini” dalla commedia musicale Tobia la candida spia. E il cieco di Gesù di Zeffirelli? E il Gaucho Appassionato o il Tanghero dei Caroselli Star? Insomma, la sua poliedricità era frutto di intelligenza e determinazione, ma anche di condivisione di sorrisi e simpatie. E l’imprinting principale a mio avviso l’ha dato la sua capacità improvvisativa di decostruire il linguaggio per spiazzare l’interlocutore con battute e discorsi acutamente demenziali. Anticipando di gran lunga Beckett e Jonesco».
Rascel ha avuto la giusta valorizzazione o rimane un artista da riscoprire?
«Una delle ragioni che mi ha spinto a pubblicare questa mia ricerca dopo vent’anni è stata proprio la carenza di memoria nei confronti di Rascel. Per fortuna le Teche Rai hanno tirato fuori dai loro archivi numerose sue performance e qualche film è stato pubblicato in dvd ma ci sarebbe molto da fare tanto per lui quanto per i grandi come lui che hanno segnato una tappa importante nella storia del nostro spettacolo. Un monito anche affinché le nuove generazioni possano tornare a ridere spontaneamente con una comicità d’intelletto raffinata e mai volgare. La vera Bufera causata dal nostro contemporaneo che oramai si è abituata a scrivere a colpi di post semianalfabeti sui social può essere se non corretta almeno temperata facendo conoscere ai giovani, con il loro stesso linguaggio (intendo quello audiovisivo), un pezzo del repertorio d’oro del nostro immaginario collettivo. E Renato Rascel ne fa ancora sicuramente parte!».