«”Palermo sia fiera di Palermo”: un motto che racchiude le motivazioni della mia scelta, ossia fare in modo che i palermitani riscoprano la loro dignità e siano orgogliosi della loro città». Ciro Lomonte, architetto e segretario nazionale di Siciliani liberi, cinque anni dopo si ricandida come primo cittadino di Palermo, sostenuto da Italexit movimento fondato dal giornalista e senatore ex Cinquestelle Gianluigi Paragone e dalla formazione in difesa della vita del Popolo della Famiglia di Mario Adinolfi, nata sull’onda del Family Day. «Non sono un politico di professione, per un anno e mezzo ho incontrato una trentina di gruppi civici per creare una squadra attorno a un candidato donna. Alla fine mi hanno cercato Vittoria Di Bella di Italexit e Carmelo Catalano del Popolo della famiglia e abbiamo presentato una lista. Ci accomuna l’opposizione alla cappa di ultraliberismo che schiaccia le famiglie e le persone».
Un voto che, quale che sarà il risultato, segnerà la fine di un’epoca: quella di Leoluca Orlando, 74 anni, di cui 22 passati alla guida del capoluogo siciliano con cinque mandati (gli ultimi due consecutivi). Il centrodestra si presenta unito a sostegno dello stesso candidato, l’ex rettore Roberto Lagalla. Anche Partito Democratico e Movimento 5 Stelle si presentano uniti con un unico candidato, l’architetto Franco Miceli. Oltre ai due candidati, che sembrano per il momento avanti nei sondaggi, c’è anche Fabrizio Ferrandelli appoggiato da Più Europa e Azione, e ancora l’eurodeputata Francesca Donato, la civica Rita Barbera e l’autonomista Ciro Lomonte.
A dispetto del fatto che su Facebook si definisca «ribelle siciliano» e dica di candidarsi con la speranza che i palermitani abbiano «un sussulto, una ribellione con un nuovo Vespro», l’appellativo di indipendentista, che spesso si associa a “Siciliani Liberi”, gli sta stretto. «Noi siamo la lista dei ribelli e dei controcorrente. Dobbiamo smetterla con l’autorazzismo che ci impone la propaganda: noi siciliani non abbiamo bisogno di essere dominati dagli altri. E allora i palermitani devono essere consapevoli di poter fare cose meravigliose».
Ciro Lomonte riunisce a Palermo le forze “anti-sistema”. Sono state le manifestazioni contro il Green pass a farli incontrare, dove lo stesso Lomonte ha sfilato con la bandiera della Trinacria. «Non mi sono vaccinato perché i vaccini non sono sicuri, ma non mi piace l’etichetta di “No Vax”. Ho partecipato a queste proteste per comprendere il disagio e il pensiero di quelle persone». E in merito alle recenti contestazioni avvenute a Palermo contro il ministro Speranza è lapidario: «Le contestazioni popolari spontanee al Ministro della Salute, in visita a Palermo per sostenere il candidato piddino, non sono liquidabili sbrigativamente con l’etichetta di “provocazioni novax”. Ricordiamo che l’attuale Ministro della Salute è il principale responsabile di una gestione semplicemente disastrosa della crisi pandemica, di una gestione comunque opaca nelle sue decisioni e nelle sue reali finalità».
Che idee ha allora Ciro Lomonte per Palermo?
«I nostri obiettivi per Palermo, messi nero su bianco nel nostro programma, sono sedici. Alla base, va precisato, c’è l’impegno per entrare in Consiglio comunale per garantire la presenza di persone libere che non debbano rispondere alle segreterie dei partiti italiani. Se poi riuscissi ad essere eletto sindaco, meglio ancora. Per quanto riguarda i temi, la famiglia è al centro del nostro programma. Palermo è una città che si sta spopolando paurosamente. Siamo in pieno inverno demografico: in pochi si sposano, in pochissimi fanno dei figli. Oltre all’emigrazione dei lavoratori, adesso c’è anche quella degli studenti. Occorre fare come a Parma dove è stato introdotto il ‘fattore famiglia’. Le famiglie devono pagare imposte che siano realmente eque. Qui ci sono tasse alte e servizi inesistenti. Un altro punto qualificante è la rigenerazione urbana. Palermo ha un’edilizia di scarso livello che l’ha fatta diventare una delle città più brutte del mondo. La città è congestionata, serve una nuova impostazione urbanistica. Come? Abolendo il concetto di periferia. Basta ghetti, noi puntiamo a creare 50 borghi autosufficienti, dove in cinque minuti di strada a piedi devi avere tutto o quasi a portata di mano. Nel 2011 con un gruppo di professionisti ho offerto al Comune un progetto di rigenerazione dello Zen, che prevedeva di costruire ex novo nelle zone non cementificate, trasferire man mano i residenti nelle nuove abitazioni, demolire quelle vecchie e nelle aree frattanto liberate riprendere a costruire. Non solo case ma anche servizi. Questo è il modello: non è utopia, ci sarebbero pure disponibili i fondi. A parte il fatto che il Comune terminerebbe le operazioni con un saldo attivo».
Cosa l’ha spinta dopo 5 anni a ricandidarsi?
«Per circa un anno e mezzo ho partecipato a riunioni e avviato consultazioni per trovare un candidato all’altezza della sfida. Avevo in mente il profilo ideale della persona che servisse al governo della capitale della Sicilia. E non ero io. Pensavo potesse essere una donna. Il nome lo avevamo già in mente ed era quello di Giulia Argiroffi, perché in Consiglio comunale è stata una guerriera. Personalmente sto facendo un sacrificio. Però mi è stato chiesto, sia dal mio partito, sia da Italexit e dal Popolo della Famiglia, sia da esponenti della società civile. Ad un certo punto mi è sembrato che rifiutare sarebbe stata una viltà. L’idea di fondo è una sindacatura completamente estranea al sistema della partitocrazia italiana, che ha letteralmente devastato Palermo negli ultimi anni. È troppo comodo lamentarsi per cinque anni e poi defilarsi al momento del dunque. Abbiamo sentito il dovere di offrire la possibilità ai Palermitani di alzare la testa e risentirsi “Fieri di essere Palermitani”. Questa risposta non può venire dai partiti “convenzionali”. Cinque anni fa ero alle prime armi, stavolta ho più esperienza e ho pensato che fare questa coalizione potesse dare un contributo di speranza e gioia ai tanti palermitani sfiduciati. Noi siamo l’unica alternativa reale ai partiti italiani e ad una forma di colonialismo italiano ed europeo».
“Siciliani liberi” viene etichettato come un partito indipendentista. Che significa essere oggi indipendentista?
«Significa innanzitutto far valere i diritti dello Statuto siciliano. L’indipendentismo economico è la prima battaglia: come dice il professore Massimo Costa, fondatore di Siciliani Liberi, su un gettito tributario di 35-40 miliardi, lo Stato, secondo stime molto prudenziali, se ne prende almeno 10. Lo Statuto viene però applicato al momento delle spese che rimangono a carico della Regione. La Sicilia di oggi è una colonia dell’Italia, un Paese, a sua volta, in aperto declino, che ha perso la propria sovranità sostanziale, prono al turpe impero della globalizzazione. Colonia di colonia potremmo dire, che è una delle peggiori condizioni. L’oppressione della Sicilia, la quasi impossibilità dei giovani di trovare un lavoro nella loro Terra, la difficoltà estrema per chiunque faccia impresa o professione, una certa cappa di povertà, emarginazione, degrado, si sentono quasi nell’aria, si tagliano a fette. La Sicilia va liberata dal bisogno, in cui è artificialmente tenuta, restituendole le sue risorse naturali; va liberata dai complessi di inferiorità che mortificano la sua cittadinanza, erede di uno dei più grandi popoli della storia mondiale; va liberata da una classe politica, e in parte dirigente, di “ascari”, collaborazionisti dei colonizzatori, che deve tutta la propria fortuna personale di mantenuti al bisogno e alla disperazione di una società intera. C’è un tappo di sudditanza e di parassitismo da fare saltare. La Sicilia si salva se esce da questo meccanismo perverso, rendendosi totalmente indipendente. In Europa ci sono Stati più piccoli della Sicilia che lo sono. Non è anacronistico, anzi nell’epoca della globalizzazione sfrenata, oggi è più necessario che mai».
Siciliani Liberi, il Popolo della famiglia e Italexit si propongono come alternativa al sistema?
«Per capire cosa sta succedendo a Palermo non possiamo tralasciare il contesto nazionale, dove da undici anni il presidente del Consiglio viene scelto senza il consenso popolare. Draghi è un banchiere che ha altri interessi e non sa nemmeno governare. E la pandemia lo ha ampiamente dimostrato. Abbiamo il peggior ministro della Salute di tutti i tempi, il principale responsabile di una gestione semplicemente disastrosa della crisi pandemica, di una gestione comunque opaca nelle sue decisioni e nelle sue reali finalità. A lui si devono non solo gli insuccessi sanitari in termini di vite umane, ma anche le persecuzioni contro i medici che hanno fatto il loro dovere, una sequela di provvedimenti psicotici e assurdi, che hanno avuto come unico effetto la chiusura di moltissime attività, una violenza nelle discriminazioni indegna di un paese civile, la diffusione del terrore permanente, la persistenza unica al mondo di provvedimenti ormai abbandonati dappertutto, e infine anche la diffusione di numeri errati, quindi bugie, in conferenza stampa. No, non possiamo essere “solidali” con questo “ministro della paura e della malattia”, un ministro che sembra più un rappresentante delle case farmaceutiche globali che non un servitore della Repubblica. Lasciamo ai soliti partiti italiani questa ipocrisia istituzionale. Noi stiamo con la rabbia popolare che chiede solo di essere ascoltata. E, se ci è consentito, ci uniamo alla stessa chiedendo le immediate dimissioni del peggior Ministro della Salute che si ricordi nella storia. E chiediamo anche che, da ora in poi, come previsto dallo Statuto Siciliano, i Ministri romani si limitino a dettare le linee generali dell’ordinamento, lasciando ai nostri Ministri regionali (alias “Assessori”) la tutela della salute in modo del tutto autonomo. Sarebbe difficile fare peggio».