Le dimissioni di Mario Draghi, almeno per ora, non portano automaticamente al voto anticipato. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha respinto le dimissioni presentate dal presidente del Consiglio, rimandando di qualche giorno la crisi di governo: mercoledì prossimo Draghi parlerà alle camere, e per il momento non è chiaro se confermerà le dimissioni o se per allora sarà successo qualcosa che avrà cambiato la situazione.
A far traballare il governo ancora una volta il M5s. I grillini non hanno votato la fiducia al governo sul decreto legge Aiuti, con una decisione che per Draghi ha significato il venir meno della maggioranza di unità nazionale e del «patto di fiducia alla base dell’azione di governo». Alcuni partiti, tra cui il Partito Democratico, hanno però espresso l’intenzione di provare a formare una nuova maggioranza per sostenere un secondo governo di Draghi, nonostante il suo comunicato non sembrasse lasciare aperta questa ipotesi.
Il ministro del Lavoro Andrea Orlando, del Pd, ha chiesto subito a Draghi di «valutare, previa la debita chiarezza con le forze politiche, se ci fossero le condizioni per un ripensamento». Già, perché in base al quadro uscito dal voto a Palazzo Madama il governo ha ancora una maggioranza, per quanto meno solida rispetto al passato. E soprattutto qualitativamente diversa: ha perso per strada, almeno per ora, il partito che nel 2018 aveva vinto le elezioni, azzoppato da una scissione che gli ha sottratto il titolo di prima forza in Parlamento e che Draghi sembra addirittura aver benedetto. Un grosso errore col senno del poi, visto che è stata il prequel della prima crisi politica del suo esecutivo, la terza dall’inizio della legislatura.
Draghi si presenterà mercoledì in Parlamento per verificare la fiducia dei partiti nei confronti del governo. In caso di fiducia accordata, si procederà fino alla scadenza della naturale della legislatura a marzo con una rinnovata maggioranza, evidentemente senza il Movimento 5 Stelle. Ma non è detto. Dopo le comunicazioni in Parlamento, il presidente del Consiglio potrebbe annunciare di voler salire nuovamente al Quirinale per dimettersi, bloccando così dibattito e voto parlamentare sul suo intervento. Poi, spetterà al Quirinale valutare se conferire un nuovo incarico o, scenario che ogni ora che passa sembra più concreto, secondo quanto si registra sempre in ambienti parlamentari, sciogliere le Camere e andare a elezioni anticipate.
Ora quindi il peso del futuro del governo è tutto sui pentastellati, che si sono già riuniti in un ennesimo Consiglio nazionale. Almeno per ora non si chiude totalmente all’ipotesi di confermare l’appoggio a Draghi, come ha chiarito la capogruppo in Senato, Mariolina Castellone, in dichiarazione di voto sul Dl Aiuti: «C’è tutta la nostra disponibilità a dare la fiducia al governo in una eventuale verifica a meno che Draghi non dica che vuole smantellare il reddito di cittadinanza o demolire pezzo per pezzo ogni nostra singola misura, dal decreto dignità al cashback».
Certo, nel caso in cui i 5 stelle votassero la fiducia al governo, non ci sarebbe più alcuna crisi. E dunque non ci sarebbe alcuna nuova maggioranza. Non si verificherebbe cioè l’auspicio di Matteo Renzi, che al Senato ha detto senza mezzi termini di puntare su un Draghi bis senza il M5s. Anche dai Dem arriva la richiesta di lavorare perché «si ricrei una maggioranza» e il governo, con Draghi a capo, possa ripartire. Lo stesso auspicio che fa Forza Italia che continua a sostenere la possibilità di un governo anche senza il Movimento, su cui, anche nella lettura della Lega, ricade tutta la responsabilità della crisi d’estate. È invece netta, come è ovvio, la posizione di Fratelli d’Italia, unico partito che non ha sostenuto l’esecutivo. E pure l’unico a tifare per il voto anticipato, visti i sondaggi: «Non accettiamo scherzi, questa legislatura per Fratelli d’Italia è finita. E daremo battaglia perché si restituisca ai cittadini quello che tutti i cittadini delle altre democrazie hanno, cioè la libertà di scegliere da chi farsi rappresentare e per fare cosa», dice la leader Giorgia Meloni.