A partire dal titolo, l’opera di Francesco Capaldo orienta il lettore verso tematiche di ordine etico, finendo per realizzare una sostanziale corrispondenza fra spiriti e forme.
Il richiamo a Caronte crea, infatti, suggestioni di forte impatto emotivo, trasferendo in una sfera culturale alta, una profluvie di sensazioni che “legano la fantasia con l’affetto, avvicinano il sereno al mesto, la società alla natura…”, ma soprattutto esprimono, a fronte dell’atteggiamento punitivo del nocchiero delle anime, “il pensiero che riattaccarsi per poco al bene fuggente rincrudisce le piaghe dell’anima; che provvida e pia nelle sue violente e irrevocabili dipartenze è la morte, che delle agonie la più amara è il desiderio anelante con lunga e languida e quasi disperata speranza (N. Tommaseo, Caronte e le anime, in Canti popolari greci, Venezia 1842. Vd. anche Dante, Inferno III vv.70-87 per cogliere le linee di un processo di decantazione della demonizzazione degli esseri mitologici a partire da San Paolo (Ep. ai Corinzi X 20 e in tutte le credenze medievali).
Questa nostra premessa per rendere conto del livello di consapevolezza di Capaldo rispetto all’esigenza di una cornice adeguata ad un inestricabile intreccio di situazioni che investono fenomenologie sociali, politico-culturali e antropologiche, con propaggini che sconfinano nella storia della mentalità.
Coerente, quindi, con le varie articolazioni del racconto, la tecnica narrativa ad incastro che, grazie a dialoghi e soliloqui, costituiscono la chiave di volta per l’armonizzazione del quadro generale della vicenda colorata di giallo con tecniche di raffinata ironia.
Dalla toponomastica cinicamente stigmatizzante – via Centostelle, via Torcicoda – alle scansioni temporali che “fondano” il tessuto connettivo del romanzo, dalle evocazioni classiche nei nomi dei protagonisti maschili – Adsum, Nihil, Absum – con sfumature “eufoniche” che ne prefigurano i ruoli, alla critica sempre in agguato nei confronti del pianeta-donne anche attraverso il rinvio a logiche di marca leghista che, di là dall’orizzonte di senso dell’autore, assegnano dati caratteriali sulla base di coordinate geografiche, i rigurgiti identitari appaiono, in ogni caso, funzionali alla prefigurazione di antagonismi all’interno della coppia Laura-Adsum, sino ad una vera e propria erosione morale dei rapporti familiari.
Procedendo a cerchi concentrici, Capaldo ci consegna maschere di sorprendente plasticità, offrendo diversi spunti di riflessione sugli intrecci fra il malaffare e il potere, che, com’è noto, ostacola i processi di mobilità sociale orizzontale, e chiama in causa la percezione della cultura come strumento di “persuasione di massa” lungo traiettorie escatologiche, i cui percorsi vengono affidati a sedicenti santoni, con uno slittamento nella blasfemia per camuffare la gestione di interessi loschi.
Un tema di forte attrazione, per le implicazioni socio-culturali che esprime è, poi, quello relativo alla organizzazione ufficiale dei Saperi, alla scuola, cioè, e alla sua ghettizzazione “politica”, attraverso una pervasiva e inconcludente burocratizzazione che ne paralizza qualsiasi slancio di rinnovamento. A tal proposito, abilità espressiva e arte del periodare divengono tessere di un unico mosaico che “fa scuola”, consentendo, per esempio, agli operatori scolastici una valutazione smagata della proposta di Legge “indecente” sul docente “esperto” che, nei fatti, nega il principio per cui ogni docente, in quanto tale, debba essere esperto.
Coerente con questa cornice il focus sull’uso corretto degli strumenti informatici e il richiamo sofferto, sin dalle prime pagine, alla crisi della carta stampata, cui fa eco la rappresentazione di facili aggiramenti dei diritti sindacali anche da parte di lavoratori come i Vigili urbani che abdicano al controllo del territorio nel giorno di Ferragosto scelto da Capaldo come scenario privilegiato di un risibile machismo, quello di Adsum, che finisce per essere assimilato al gallismo tipico del borghesuccio frustrato, con punte di ironia davvero irraggiungibili. In questo quadro l’autore colloca anche figure di intrattenitrici, la cui etologia trasgressiva diviene chiave di lettura di una complessiva crisi paideutica.
Alla fine di questo viaggio nel testo, ritengo si possa concludere che, nonostante venature di amaro pessimismo su possibili riscatti di una società in crisi, la piena padronanza degli strumenti letterari consenta all’Autore, senza cedimenti ad alcun tipo di banalizzazione, di dar vita ad emozioni anche forti grazie alla sensibilità traboccante che ne orienta lo sguardo.
Lia Marino
(Università degli Studi di Palermo)