– Dove andiamo?
– In un bel posto. È una sorpresa. Non vuoi?
– Con voi verrei in capo al mondo.
Per Adsum sarebbe stata una notte indimenticabile, in cui avrebbe fatto scintille. Era in preda a una incontrollabile euforia. Era certo di essere davvero nel regno della pace e nel migliore dei mondi possibili. Senza opporre alcuna resistenza, le seguì. Salì a bordo di un’autovettura, e partì per una ridente campagna, su cui si stendeva come un esuberante fungo il fumo di immensi cumuli di immondizia bruciata.
Adsum riacquistò i sensi che era la mezza e il sole era alto nel cielo e sopra di lui c’era l’austero Garibaldi, che aveva liberato l’arretrato Mezzogiorno dal reazionario e dispotico Borbone. Gli strizzava l’occhio. ‘Che ci faccio qui? Che mal di testa! Non ho più l’età per fare il birbone.’ disse a sé stesso. Non appena si riebbe un poco si ricordò che le due fanciulle lo avevano portato in una casa privata e che gli avevano offerto da bere. Che gentili! L’avevano trattato come un re e per farlo divertire si erano inventate finanche uno strano gioco: lo avevano fatto sedere su una sedia e lo avevano legato. Lo avevano escogitato per donargli un piacere sublime. E lui per farle contente aveva accettato. Che giocherellone! Faceva uno strano effetto alle donne: per lui facevano follie. Si era divertito tantissimo. Non era mai stato così bene. Però erano state cattive a lasciarlo da solo in mezzo alla strada. Il mondo femminile era un mistero bello e senza fine. Che curiosone quelle due! Volevano sapere ogni cosa di lui. Gli avevano fatto un vero e proprio interrogatorio: sulla moglie, sui suoi amori passati, sulle sue amanti… Gli avevano persino domandato chi era Helene e per tutto il tempo non avevano fatto altro che parlare di un certo Absum. Volevano sapere se lo conosceva. – Sei sicuro, di non conoscerlo, caro? – gli aveva domandato Monica, mentre lo accarezzava con una frusta. -Ti piace questo gioco? – e poi rivolta all’amica – Non sa nulla. È capitato per puro caso con quella donna in casa del suo amico. Però è pericoloso. Potrebbe andare alla polizia. Meglio farlo fuori. – No, sei pazza! – aveva risposto l’altra. Ma chi mai era Absum? Che burlone che erano! A un certo punto si erano messe a giocare a guardia e ladri. E così lo avevano lasciato lì, dicendo che sarebbero subito ritornate. Si ricordò allora di Marina. Doveva telefonarle e avvisarla. Che avrebbe pensato di lui la signorina? Corse a una cabina telefonica e la chiamò.
– Si, pronto.
– Sono Adsum, signorina.
– Ah, è lei. Che fine ha fatto? Non l’ho più vista. Mi ha lasciato solo a Licola ed è andato via. Non me lo aspettavo. Le sembrano modi da galantuomo? – gridò la signorina al telefono.
– Ma… io… – provò a obiettare Adsum che fu investito da un fiume di parole e dall’ira della donna.
– Non ci sono scuse. È imperdonabile. Sono partita senza di lei. Non mi chiami più. Ha capito? – disse in maniera seria e brusca e senza possibilità di appello, e gli chiuse il telefono in faccia. Era davvero in un bel pasticcio. Non aveva più un euro e non poteva richiamare Marina per farle capire che aveva preso un abbaglio. Si avviò in stazione. Andò nella sala d’aspetto e si mise a dormire su una sedia. Passò lì la notte. All’alba saltò, senza fare il biglietto, su un regionale per Firenze. Era stordito da tutti quegli avvenimenti che gli erano capitati: la nuvola di Fantozzi lo perseguitava. La bussola della sua vita sembrava impazzita. Dio si era messo a fare il burlone e si era dimenticato che era un padre di famiglia e un povero impiegato delle poste. All’uscita dalla stazione sentì una voce che lo chiamava. Temette il peggio e che ci fossero altri guai in arrivò. Si voltò e intravide Helene. Aveva messo qualche chilo dall’ultima volta che l’aveva vista, ma volentieri avrebbe accarezzato le sue forme. La sorte forse dopo tante traversie stava girando dalla sua parte.
– Tesoro, che bello rivederti!
La donna provò ad abbracciarlo, ma si ritrasse per via del cattivo odore di Adsum.
– Cosa ti è successo?
– Sapessi!
– Che brutto odore emani.
– Poi ti racconto. Sto tornando da Napoli.
– Napoli?
– Sì.
– Che sei andato a fare in quella città? Sei finito in una pattumiera?
– No, peggio. Poi ti racconto.
– Dopo mi racconti tutto. Io vado a casa. Vieni con me?
– Sì, ho bisogno di fare una doccia.
Arrivò il bus: era stracolmo di gente. Il viaggio gli sembrò che non finisse mai. Un senso di appiccicaticcio gli saliva lungo la schiena. Si guardava intorno come se fosse braccato e per accertarsi che in quella massa informe di volti non ci fosse qualche conoscente suo o della moglie. Solo dopo averli esaminati tutti tirò un sospiro di sollievo.
– Che hai? Ti senti bene?
– Nulla.
– Sei sicuro? Sei teso come una corda. A casa ti faccio una camomilla.
– Sì, forse ne ho bisogno.
– Siamo arrivati. Ecco la nostra fermata.
– Sì.
– Piove. Mi si arricceranno i capelli. Domani dovrò andare dal parrucchiere. Vieni di qua. Si fa prima.
– Sì. Ti seguo.
Venne giù un acquazzone. I due ex amanti si ripararono sotto un balcone e riuscirono a non bagnarsi. Appena spiovve passarono per andare a casa dinanzi alla pizzeria di via della Rondinella. Adsum intravide all’interno del locale la moglie, in compagnia di un uomo. Doveva evitare a tutti i costi di farsi vedere. Tirò per un braccio Helene e per la foga quasi le fece male.
– Che hai? Sei impazzito?
– Su corriamo.
– Che c’è?
– Guai in vista… c’è mia moglie!
… Continua… Vi aspettiamo alla prossima puntata!