Il verdetto sull’obbligo vaccinale, emesso dalla Consulta, è stato più ideologico che tecnico. E non poteva essere altrimenti, vista la provenienza culturale e a volte segnatamente politica della maggior parte degli esponenti della Corte costituzionale. Per un terzo, essa si compone di membri nominati in seduta comune dal Parlamento, quindi espressione della volontà dei partiti.
La presidente, Silvana Sciarra, è stata eletta nel 2014, su proposta dell’allora premier Matteo Renzi, ancora nel Partito democratico. Qualcuno poteva ragionevolmente aspettarsi che, provenendo da quell’area, la giudice, da numero uno della Corte, s’intestasse una battaglia contro il provvedimento di Mario Draghi? Peraltro, a scrivere il primo decreto sull’obbligo vaccinale per i sanitari era stato il Guardasigilli, Marta Cartabia, chiamata al ministero dopo aver presieduto la Consulta di cui faceva già parte la Sciarra. Non lo possiamo chiamare conflitto d’interessi? Si chiede Alessandro Rico sulle pagine de La Verità.
Molto discutibile è anche la posizione della toga Marco D’Alberti, nominato da Sergio Mattarella a settembre. Il professore romano è stato il consigliere giuridico di Draghi. Su di lui, dunque, gravava almeno una responsabilità oggettiva nella stesura delle norme contestate dai ricorrenti. È quanto meno anomalo che un tecnico al servizio del presidente del Consiglio, dopo, si sia dovuto pronunciare su uno degli atti legislativi prodotti dall’esecutivo per cui lavorava.
Il gruppo dei giudici all’interno della Consulta è chiaramente sbilanciato a sinistra. Augusto Barbera, costituzionalista all’Università di Bologna, ministro nel governo Ciampi, parlamentare del Pci e del Pds, consigliere regionale in Emilia Romagna, oggi vicino al Pd, che lo indicò per la nomina nel dicembre 2015. Nella stessa seduta, l’Aula votò per Giulio Prosperetti (candidato di Angelino Alfano) e Franco Modugno (sponsorizzato dal Movimento 5 stelle). E come dimenticare Filippo Patroni Griffi: eletto dal Consiglio di Stato, che ha presieduto fino al 29 gennaio 2022, era stato ministro della Pa per Mario Monti, quindi sottosegretario a Palazzo Chigi, con premier Enrico Letta. Da figure simili, ci dovevamo aspettare tutele?
E ancora Emanuela Navarretta, giurista del Sant’Anna di Pisa. Da giovane, ebbe come correlatore della tesi di laurea il compianto Ugo Natoli, ex partigiano e uomo di fiducia di Palmiro Togliatti. Daria de Pretis, attuale vicepresidente della Corte, dove è stata chiamata da Giorgio Napolitano nel 2014. Già rettrice dell’Università di Trento, nonché moglie di Giovanni Kessler, figlio del politico dc Bruno (presidente della Provincia autonoma di Trento), ex deputato con l’Ulivo e, in seguito, esponente dem. Il 30 gennaio 2022, la de Pretis rilasciò un’intervista al Corriere della Sera in cui, di fatto, anticipava la sentenza di giovedì: «La Costituzione stabilisce che la legge può introdurre trattamenti sanitari obbligatori quando si deve tutelare la salute collettiva. Nella Costituzione i diritti si accompagnano ai doveri».
Uniche eccezioni, almeno sulla carta, sono Nicolò Zanon (entrato al Csm su richiesta del centrodestra) e Luca Antonini (vicino alla Lega e acerrimo rivale del decreto Lorenzin sui vaccini). Dopo aver passato al setaccio la storia politica e accademica degli altri membri: «Ce le vedevate voi, delle toghe con questo pedigree, a smantellare i provvedimenti adottati dai migliori? A picconare la condotta di Draghi?», si chiede Rico. Sarebbe meglio politicizzare esplicitamente tutti gli organismi pubblici, inclusa la Consulta, come avviene negli Stati Uniti.