«È presto per giudicare». Anders Tegnell, l’epidemiologo che ha guidato la Svezia attraverso la pandemia, ha ripetuto questa frase ad aprile 2020, a giugno 2020, a settembre, a dicembre e poi di nuovo ad aprile in ogni intervista, conferenza stampa, comunicato. «Giudicatemi tra almeno un anno». E adesso è arrivato il momento del giudizio.
Tra quelli dei Paesi industrializzati, il protocollo con cui la Sveziaa affrontato il Covid-19 è stato il più discusso e strumentalizzato. Mentre le autorità sanitarie di quasi tutta Europa, degli Stati Uniti e di gran parte dell’Asia chiudevano negozi, scuole e attività produttive, Tegnell insisteva sull’inefficacia dei lockdown. In un periodo in cui gran parte delle democrazie occidentali seguivano l’esempio della Cina, adottando inefficaci app che invitavano a isolarsi se mai si fosse passati vicini ad un untore, ma soprattutto limitavano le libertà personali e obbligavano ad indossare le cosiddette mascherine. In estrema sintesi, mentre tutto il mondo si chiudeva e limitava fortemente le proprie attività economiche e sociali, la Svezia restava aperta. “La vita deve continuare”, titolava un articolo del New York Times dell’aprile 2020.
A luglio 2020 l’approccio scandinavo aveva portato ad una percentuale di morti per Covid (22 su 100.000) migliore ad esempio di quella della Francia. Una nazione dove il presidente Macron faceva a gara con il nostro premier Conte nell’imporre divieti. «Massimo un’uscita al giorno, per massimo un’ora e non più distanti di un km da casa»: era la regola francese. Il dato viene dal WHO, che nelle note metodologiche afferma: «Il conteggio riflette i casi di morte confermati e sono soggetti a continue verifiche, con possibili aggiornamenti retrospettivi. Eventuali errori scoperti da o riportati all’WHO sono corretti ad intervalli regolari».
Per valutare l’efficacia delle misure adottate da Stoccolma dobbiamo dunque confrontarli con quelli del resto d’Europa. L’orientamento della comunità scientifica internazionale è stato spesso quello di confrontarli con quelli degli altri Paesi scandinavi, comparabili per diversi fattori chiave — dalle strutture del sistema sanitario al contesto socioeconomico — ma più rigidi nel limitare spostamenti, assembramenti e attività produttive. In questo caso i contagi per milione di abitanti e la mortalità sono peggiori in Svezia che nei Paesi vicini.
Anders Tegnell ha sempre sostenuto però che la Svezia vada confrontata, per la maggiore densità abitativa, avendo il doppio degli abitanti della Norvegia, con il resto d’Europa. Anche per quanto riguarda la percentuale di stranieri sul territorio, la Svezia somiglia più a un Paese Ue che ai suoi vicini scandinavi. La pandemia in Svezia non è stata una catastrofe. Non si sono avverate, per esempio, le proiezioni tragiche del paper dell’università di Uppsala. Perché? La risposta sanitaria, con ospedali di alto livello, è stata all’altezza. Ma soprattutto le restrizioni, forse, non sono state davvero così lassiste come sono parse nel resto del mondo. Gli svedesi, già inclini a isolarsi, come la paziente zero, si sono sono semplicemente affidati al «buon senso». E mentre le curve di tutta Europa, comprese Danimarca e Norvegia, continuavano a salire verso l’alto, quella svedese resta meno ripida. È possibile che dopo due anni di pandemia si stiano davvero mietendo i frutti di una politica che a molti è parsa controcorrente?