Da una parte gli italiani che chiedono di sapere cosa sia successo davvero nei primi mesi del 2020, dall’altra chi ha interesse a non far venire a galla la verità. E invece è proprio dall’inchiesta della Procura di Bergamo continuano ad emergere inquietanti particolari sulla gestione della pandemia che confermano i dubbi e le perplessità di tutte quelle persone che non condividevano le modalità di chiusure e restrizioni.
Siamo nei giorni poco precedenti al 23 marzo, data in cui il Governo Conte II ha decretato la chiusura delle attività non essenziali in tutto il territorio nazionale. In quel momento la Lombardia e alcune zone dell’Emilia Romagna sono entrate nella zona rossa. La Verità ha riportato una parte del contenuto delle carte in mano alla Procura di Bergamo con passaggi significativi, come i contenuti di una conversazione avvenuta il 20 marzo: il ministro Speranza e il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità Brusaferro discutevano su whatsapp proprio sulla possibilità di trasformare l’intero Paese in un’unica zona rossa. Il copione dovrebbe vedere Brusaferro, nominato come portavoce del Comitato tecnico scientifico, suggerire una serie di iniziative basate su evidenze scientifiche e poi Speranza valutarle sulla base delle esigenze politiche. Quello che però emerge dalle chat è un meccanismo molto diverso.
Speranza voleva il lockdown, Brusaferro frenava. Speranza scrive: «Stringiamo in tutta Italia o solo regioni del nord? Io sono per andare in tutta Italia. Sindacati spingono per tutta Italia. A me sembra buon senso. Le aziende non vendono comunque. Le teniamo aperte ora per metterle in cassa integrazione tra qualche settimana perché hanno i magazzini pieni». In questo caso è Speranza a suggerire quindi una linea da intraprendere al consulente scientifico Brusaferro che, infatti nelle risposte, sembra essere piuttosto remissivo «Capisco. Va bene per quelle che comunque non vendono. Credo però che ci siano filiere da salvaguardare. Non solo alimentare. L’altro tema per quanto tempo. Arrivi a Pasqua. Ma dopo credo si dovrà riaprire. Bisognerebbe magari far analisi per filiera con un po’ di tempo».
La discussione tra Speranza e Brusaferro continua, come se il ministro volesse convincere il proprio scienziato di fiducia della bontà delle proprie azioni, quando invece dovrebbe essere il contrario. Brusaferro scrive: «Domani abbiamo qualche dato in più. Lombardia chiudi e qualche area attorno. Per il resto vediamo un attimo». Il Comitato tecnico scientifico sembra quindi non essere molto d’accordo con una chiusura generalizzata su scala nazionale. Speranza però non vuole sentire ragioni:«Non è che facciamo come con le scuole? Noi politicamente siamo per stringere tutta Italia».
Il lockdown non ha alcuna origine scientifica evidentemente, ma politica. E Brusaferro alla fine è costretto ad abbassare la testa:«Hai ragione non si può escludere, e solo dati dei prossimi giorni ci diranno se cambiano le curve. Comunque non ci sono evidenze scientifiche che io sappia su misure di questo tipo». Lo ammette quindi lo stesso presidente dell’Iss: il lockdown totale non ha alcuna base scientifica. Una frase decisamente inquietante, alla luce delle circa 300.000 imprese italiane che hanno chiuso i battenti a causa di quella decisione politica e non scientifica. 300.000 attività sacrificate per niente.
Una lettura confermata da altre conversazioni tra i due, più o meno relative allo stesso periodo. Il 6 aprile Brusaferro aveva inviato a Speranza un documento sulle attività che avrebbero potuto riaprire in sicurezza, per aiutare le famiglie italiane a rialzare la testa dopo lockdown e chiusure forzate. «Due avvertimenti – sarebbe stata la replica di Speranza, stando ai documenti pubblicati – Primo, tutto quello che direte può finire fuori alla stampa. Secondo, se vogliamo mantenere le restrizioni conviene non dare troppe aspettative positive». Un messaggio evidentemente accolto da Brusaferro che, il giorno successivo, in un’altra conversazione chiedeva a Speranza: «Glielo diciamo che prevediamo sempre la chiusura?». Risposta del ministro: «Sì, ovviamente». La politica prendeva decisioni fingendo di obbedire alla scienza, piegata invece ai propri interessi.
Dalle carte di Bergamo emerge come il governo Conte intendesse quindi mettere paura nella popolazione per imporre restrizioni che non avevano alcun fondamento scientifico. Quegli stessi politici che avevano tardato nella messa in sicurezza delle zone critiche del Nord Italia, nei primi giorni della pandemia, avrebbero poi paralizzato un Paese intero, senza distinzioni, provocando danni economici e sociali enormi sulla popolazione e soffocando ogni protesta in nome della scienza.