Non solo in versione light, ma anche a tempo determinato. È così che si presenta manovra approvata lunedì dal Consiglio dei ministri. Dal taglio del cuneo in busta paga per i redditi medio-bassi alla riduzione delle tasse tanto decantata dalla maggioranza: il governo ha stanziato in manovra risorse solo per il 2024, senza dare alcuna indicazione sull’eventuale conferma per gli anni a seguire. Servirà ancora del tempo per comprendere i dettagli di alcune delle misure annunciate, poiché il documento programmatico di bilancio che dovrà essere inviato alla Commissione Europea e al parlamento in queste ore non contiene l’indicazione delle esatte voci di spesa. Ma un dato è già evidente: le «riforme strutturali» che il governo e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni avevano promesso sono assai poco strutturali.
Il taglio del cuneo fiscale assorbe circa 10 miliardi di una legge di bilancio che nel complesso vale 24 miliardi, di cui tra l’altro 14 vengono finanziati in deficit, cioè tramite un maggiore indebitamento dello Stato. Il taglio del cuneo fiscale è la riduzione delle imposte e dei contributi che si applicano sugli stipendi, quindi in sintesi il governo vorrebbe diminuire la differenza tra stipendio lordo e stipendio netto. Parliamo di una riduzione delle imposte del 7% sui redditi fino a 25mila euro e del 6% per quelli tra i 25 e i 35mila euro. Un’altra misura significativa, anche questa riconducibile all’obiettivo di “ridurre le tasse”, è l’accorpamento delle aliquote Irpef, l’imposta sul reddito delle persone fisiche. Per il 2024 costa circa 4,5 miliardi e consiste in una prima, parziale ristrutturazione del sistema fiscale italiano. In sintesi: chi dichiara tra i 15 e i 28mila euro, e che attualmente era nel cosiddetto “secondo scaglione”, non pagherà più il 25% di tasse sul reddito sopra i 15mila, ma verrà assimilato a chi sta nel “primo scaglione”, cioè chi guadagna meno di 15mila euro. Pagherà dunque il 23%.
Ma non sono previste coperture finanziarie di nessun tipo per proseguire la riduzione prevista del prelievo anche dopo il 31 dicembre del 2024. Viene dunque legiferato uno sgravio fiscale “provvisorio”, di un anno. Dopo il quale, a credere ai numeri del programma finanziario del governo, tutto in teoria tornerà come prima: chi avrà 35 mila euro di reddito dovrebbe vedere una riduzione negli importi netti in busta paga di 98 euro al mese solo per effetto della decadenza del taglio ai contributi, più un altro taglio di circa trenta euro al mese per effetto del ritorno delle aliquote Irpef. Questo dal primo gennaio 2025, dopo un anno di indulgenza fiscale. Tra un anno il governo sarà di nuovo sottoposto a una pressione politica fortissima per trovare nuove risorse e riconfermare gli sgravi. Ma questo, il taglio per un solo anno, è quanto si trova nei numeri del programma del governo da oggi al 2026.
«Strutturale» era una parola che ricorreva molto nei discorsi di Giorgia Meloni durante la campagna elettorale del 2022. Ma già durante la stesura della legge di bilancio 2023 si capì fin da subito che le cose sarebbero state più complicate: il governo si trovò a dover fare una legge di bilancio a poche settimane dal proprio insediamento avvenuto a ottobre, avendo a disposizione poche risorse e in un contesto economico molto complicato. C’era da un lato la necessità di prolungare le misure straordinarie contro il caro energia, in un periodo in cui i prezzi erano alti e si temeva ancora per le riserve di gas per l’inverno dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Dall’altro si doveva gestire la pesante eredità fiscale del Superbonus e degli altri bonus edilizi, che continuavano a pesare sul bilancio dello Stato. Tutto ciò ha indotto e per certi versi obbligato il governo ad adottare una condotta estremamente prudente sui conti pubblici. E quest’anno le cose non sembrano cambiate: poche risorse, poche possibilità di manovra.
Per quel che riguarda il taglio del cuneo fiscale, la misura era stata introdotta con una logica di breve scadenza fin dall’inizio. Era il primo maggio scorso quando il Consiglio dei ministri, con un provvedimento sul lavoro perlopiù simbolico approvato appunto nel giorno della Festa dei lavoratori, introduceva quello che Meloni definì «il taglio delle tasse sul lavoro più importante degli ultimi decenni». In realtà era una riduzione modesta, sia pur significativa, e soprattutto aveva una durata di sei mesi. Di qui, la necessità di rinnovarla. Ma la legge di bilancio decide di farlo anche in questo caso a tempo limitato: con una proroga che vale solo per il 2024.
È una questione che riguarda anche l’altra grande misura inserita nella legge di bilancio, cioè gli interventi sull’Irpef. Anche in questo caso, il governo aveva dimostrato di puntare molto sul provvedimento ma ha dovuto fare i conti con la limitatezza delle risorse disponibili e così anche l’accorpamento delle aliquote varrà solo per il 2024, visto che non vengono previste coperture economiche per finanziare la misura a partire dall’anno seguente.