Il presidente del Consiglio europeo Charles Michel si candiderà alle elezioni del Paralmento europeo: una scelta che gli imporrà, in caso di elezione, un ritiro anticipato dal suo ruolo al vertice dell’istituzione che riunisce i capi di Stato e di governo della Ue. Ad annunciarlo è stato lo stesso Michel: «Ho deciso di candidarmi alle elezioni europee del giugno 2024: guiderò la lista del Movimento Riformatore, la mia famiglia politica del Belgio francofono».
Se non è un fuggi fuggi generale, poco ci manca. Il mandato delle istituzioni Ue elette a metà del 2019 è ormai agli sgoccioli, con le elezioni europee in programma ai primi di giugno che ridefiniranno il panorama politico del continente. Eppure diversi dei protagonisti politici dell’ultimo quinquennio hanno rinunciato in largo anticipo al loro incarico per “prenotare” il successivo. I primi a farlo sono stati la scorsa estate due vicepresidenti della Commissione Ue, l’olandese Frans Timmermans e la danese Margrethe Vestager. Il primo per candidarsi alla guida del centrosinistra alle elezioni politiche anticipate nel suo Paese. La seconda per lanciare la sua corsa alla presidenza della Banca europea degli investimenti. Missione fallita per entrambi.
Adesso tocca a Charles Michel. «Il progetto europeo è a un bivio ed è necessario rafforzare la legittimità della democrazia europea», ha affermato, giustificando così la scelta di ricoprire un ruolo attivo nella competizione elettorale: «Vorrei far parte della squadra di chi costruisce il progetto europeo e mi propongo di continuare a servirlo». L’ex premier belga ha anche detto di voler condurre una campagna elettorale che non incida sulle sue responsabilità nel coordinamento dei vertici dell’Unione. Michel, 48 anni, ha assunto l’incarico nel dicembre 2019 e, in caso di successo alle urne, manterrà la carica fino al giuramento dei membri del Parlamento europeo, previsto per il 16 luglio.
«È relativamente facile organizzare la successione», ha dichiarato, anche se lo scenario di un suo passo indietro sta creando più di una preoccupazione a Bruxelles. Il Financial Times scrive che la sua uscita di scena potrebbe ampliare i margini di manovra del premier ungherese Viktor Orbán, ritenuto una delle spine nel fianco dell’integrazione comunitaria e dell’armonia sulle politiche condivise dei 27.
Il voto europeo è fissato in tutto il continente tra il 6 e il 9 giugno. Il tempo di accertare e proclamare formalmente i risultati e i nuovi eletti al Parlamento europeo – tra cui, si suppone, anche il leader di ritorno dei liberali belgi Michel – saranno chiamati a presentarsi per prestare giuramento nella nuova funzione. L’insediamento, la verifica l’ha fatta preventivamente lo stesso Michel, dovrebbe aver luogo a metà luglio, verosimilmente il 16. Entro quella data ultima, prima dunque, i capi di Stato e di governo dell’Ue dovranno aver concordato il nome del nuovo presidente del Consiglio europeo. Se fino ad oggi le cancellerie potevano contare su diversi mesi per negoziare il nome del successore di Michel, insomma, ora dovranno rifare i conti: avranno appena un mese dopo le Europee, dei cui risultati non potranno non tener conto. Un bel grattacapo, almeno per i leader più lontani dal sovranismo, perché un eventuale mancato accordo entro i primi di luglio porterebbe a uno scenario paradossale e potenzialmente distruttiva per l’Unione: consegnarla nelle mani di Viktor Orbán.
Il premier ungherese non fa mistero del suo obiettivo di «disfare» dall’interno l’Unione, o per lo meno piegarla alla sua agenda. È anche il leader più longevo dell’intera Ue (è in carica ininterrottamente dal 2010) e conosce molto bene il funzionamento della macchina decisionale, e i suoi punti deboli. Nel secondo semestre del 2024, proprio nell’arco di tempo che farà da anello di congiunzione tra la vecchia e la nuova legislatura, la sua Ungheria avrà la presidenza di turno del Consiglio dell’Unione europea, l’organo in cui si confrontano sui tutti i dossier tecnici e politici gli Stati membri. Una responsabilità importantissima di norma: figurarsi in assenza di un presidente del Consiglio europeo in grado di “sorvegliare” ciò che accade. Il regolamento del Consiglio europeo (articolo 2.4) parla chiaro: in caso di defezione del presidente per un qualsiasi motivo, ad assumerne le funzioni sino alla nomina di un nuovo responsabile è il capo di governo del Paese che ha la presidenza semestrale del Consiglio. E così dal 1° luglio, se non sarà già stato chiuso e blindato un accordo sul successore di Charles Michel, l’Ue rischia di trovarsi ostaggio di Orbán.