L’ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha detto che incoraggerebbe la Russia ad attaccare qualunque paese della Nato che investa nella difesa meno di quanto indicato dalle linee guida dell’Alleanza, cioè il 2% del proprio Prodotto interno lordo. A oggi circa due terzi degli stati membri dell’Alleanza per il trattato della Nato, un patto militare intergovernativo siglato dai primi aderenti nel 1949, spendono meno del 2% del Pil nella difesa. Vale a dire 20 nazioni tra le 31 aderenti. E tra queste c’è anche l’Italia.
I paesi membri della Nato partecipano all’Alleanza in maniera diretta, impegnando le le proprie forze armate e l’intero comparto della difesa. Non c’è alcun obbligo giuridico vincolante che imponga loro un minimo o un massimo di spesa per la ricerca, lo sviluppo o l’aggiornamento di truppe ed equipaggiamenti, ma solo una raccomandazione che viene decisa anno per anno a seconda delle necessità.
Come riportano i dati forniti dalla Nato stessa, nel 2014 solo Grecia, Regno Unito e Stati Uniti, 3 paesi su 31, hanno raggiunto o superato il 2% del Pil. Nel 2022 il numero è salito a 7 su 31 e nel 2023 siamo arrivati a 11 paesi su 31. Oltre ai 3 che abbiamo già elencato il gruppo è composto da Polonia, Estonia, Lituania, Finlandia, Romania, Ungheria, Lettonia e Slovacchia. La Francia si è fermata all’1,9%, mentre Germania e Italia sono rimaste rispettivamente all’1,57% e all’1,46%.
Stando alle dichiarazioni, riportate da Reuters, Trump durante un convegno elettorale avrebbe detto, nei fatti, di essere pronto a incoraggiare la Russia a invadere i Paesi che non versano alla Nato il 2% del loro Pil, come Germania e Italia, perché meno meritevoli di protezione di quelli che lo restituiscono, come Slovacchia o della Grecia, tanto per fare alcuni esempi. Ma mentre il 2% del Pil di Bratislava e Atene è pari rispettivamente a 6 e 2 miliardi di euro, l’1,57% di Berlino e l’1,46% di Roma corrispondono, rispettivamente, a 64 e 29 miliardi di euro.
Che non si trattasse di una semplice provocazione per scaldare il suo pubblico, ma di un vero piano che Trump medita di mettere in opera nel caso di un prossimo ritorno alla Casa Bianca, lo dimostrano non solo i documenti riemersi dal suo passato che prevedono l’applicazione delle protezioni previste dall’Articolo 5 del Trattato Nato. L’articolo 5 è il fondamento dell’Alleanza militare: quello che stabilisce che un attacco contro uno qualsiasi dei suoi membri equivale a un attacco contro tutti, vincolando la Nato a intervenire automaticamente in suo soccorso. «Da dove io provengo, le alleanze contano. Ma se vuoi farne parte, contribuisci», ha detto alla Reuters Keith Kellogg, generale in pensione che oggi consiglia Trump sui temi della sicurezza nazionale.
Di fatto, se la «dottrina Kellogg» diventasse davvero l’agenda di Trump ciò significherebbe ad oggi che 20 dei 31 Paesi Nato resterebbero senza quello «ombrello di sicurezza» sotto al quale si sono riparati dalla fine della Seconda guerra mondiale. Cosa rischierebbe dunque l’Italia? Nonostante un progressivo aumento delle spese militari nel corso degli ultimi anni l’Italia resta oggi lontana dall’obiettivo Nato di cui gli Usa pretendono il rispetto: quello del 2% almeno del Pil di ciascun Paese. Dal 2014 ad oggi, secondo i dati della stessa Nato, la spesa militare italiana è aumentata di quasi il 50% a prezzi costanti: poco più di 20 miliardi l’anno nel 2014, oltre 28,5 nel 2023. In termini proporzionali, significa una crescita dall’1,14 all’1,46% del Pil. Bene ma non benissimo, perché nello stesso periodo, e soprattutto dopo l’inizio della guerra in Ucraina, altri Paesi europei hanno fatto passi in avanti di ben altra entità.
La Polonia, per dire, è passata da 8,5 a quasi 25 miliardi di investimenti in 10 anni. Hanno rapidamente centrato e superato il target di spesa del 2% pure tutti gli altri Paesi confinanti o più vicini Russia di Putin: i tre baltici e la Finlandia, ma anche l’Ungheria, la Romania e la Slovacchia. Sarebbero questi, se la dottrina Kellogg entrasse in vigore, i Paesi che si «salverebbero» dalla scure di Trump (insieme alla Grecia, che un budget ben superiore al 2% del Pil ce l’ha da tempi non sospetti per altre ragioni: i timori di un conflitto con la Turchia, peraltro essa stessa membra Nato). A restare potenzialmente senza la garanzia di difesa americana ci sarebbero anche gli altri più grandi Paesi dell’Ue: la Francia che impegna risorse leggermente inferiori al 2% del Pil (1,9%); la Germania che si ferma in termini percentuali poco sopra l’Italia (1,57%) e la Spagna che resta lontanissima dal target (1,26%).