La maggioranza di destra che sostiene il governo di Giorgia Meloni si è platealmente divisa sul terzo mandato ai governatori. L’emendamento della Lega al decreto Elezioni per estendere da due a tre i mandati consecutivi possibili per i presidenti di Regione è stato bocciato senza appello. Il Carroccio, in commissione Affari costituzionali del Senato, si è ritrovato da solo perché Fratelli d’Italia, Forza Italia e Udc hanno votato contro e con loro tutto il campo progressista (Pd, M5s e Verdi-Sinistra). Con i leghisti ha votato solo Italia Viva.
Il tema del terzo mandato agita da molti mesi il dibattito politico. La Lega di Matteo Salvini insiste da tempo per aumentare questo limite. L’emendamento avrebbe prolungato la permanenza di esponenti della Lega alla guida di importanti regioni del Nord , come Luca Zaia in Veneto e Attilio Fontana in Lombardia, che il partito di Meloni vorrebbe occupare a sua volta, avendo l’ambizione di esprimere un proprio candidato presidente al prossimo giro, in virtù del fatto che ora Fratelli d’Italia è il primo partito all’interno della coalizione di destra.
Il tema è particolarmente sentito in Veneto, dove Zaia, forte di un grandissimo consenso popolare, insiste a volersi ricandidare nel 2025 alla guida della Regione, cosa che fa ininterrottamente dal 2010: sarebbe per lui il quarto mandato. Ne ha già svolti tre, per via del fatto che in Veneto la legge nazionale che poneva il limite di due mandati venne applicata con ritardo. E non è un caso che a presentare l’emendamento siano stati tre senatori veneti della Lega. «Prendo atto del voto – dice il diretto interessato – La strada è ancora molto lunga. Natura non facit saltus” (“la natura non fa salti”)».
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni non è minimamente interessata all’argomento: «Il terzo mandato non era inserito nel programma – dice a 5 minuti, su Rai1 – Non è iniziativa del governo, era una iniziativa parlamentare, ci sono state opinioni diverse in massima serenità». Iòl ministro per i Rapporti col parlamento Luca Ciriani, di Fratelli d’Italia, aveva provato a dissuadere in questi giorni i leghisti. «Ho spiegato loro più volte che non si può intervenire su una materia così delicata attraverso un emendamento a un decreto-legge da approvare in tutta fretta. Meglio farlo con un provvedimento ad hoc, più organico».
Ma «non finisce qui», come nei film d’azione. Salvini promette infatti che ripresenterà in Aula «che è sovrana e i cittadini sapranno come scegliere». «Secondo me – insiste – è un peccato pensionare sindaci e governatori dopo due mandati, anche se sono bravissimi, apprezzatissimi e votatissimi si devono fare da parte. È un errore perché trovare un buon sindaco e un buon governatore di questi tempi non è facilissimo e se te lo trovano buono i cittadini, se lo vogliono rieleggere, hanno il diritto di farlo».
Per i leghisti veneti è andata comunque bene così. La loro tesi è che ora in Veneto tutti sapranno che a voler impedire a Zaia di avere un nuovo mandato è stata Fratelli d’Italia, e questo produrrà effetti elettorali sia alle Europee di giugno sia alle amministrative nei 309 comuni veneti in cui si voterà nei prossimi mesi. Ma c’è chi da un’altra lettura: dimostrare chiaramente a Zaia che non ci sono margini per modificare il limite dei mandati e così convincerlo a candidarsi alle europee di giugno, cosa che potrebbe limitare i danni e aumentare le speranze della Lega di ottenere un risultato elettorale non del tutto deludente.