Il presidente dell’Iran Ebrahim Raisi è morto. La Tv di Stato della Repubblica islamica ha fatto sapere che nessuno dei passeggeri dell’elicottero su cui viaggiava domenica, coinvolto in un incidente, è sopravvissuto: «Non è stato trovato alcun segno di persone vive dopo la scoperta della posizione dell’elicottero precipitato». Il mezzo è schiantato in un’area forestale nell’Azarbaigian orientale. Oltre a Raisi, sull’elicottero c’erano anche il ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amir-Abdollahian, il governatore della provincia iraniana dell’Azerbaigian Orientale, Malek Rahmati, e l’ayatollah Mohammad Ali Ale-Hashem.
Ebrahim Raisi aveva 63 anni ed era presidente dell’Iran dal 2021. Era espressione della componente ultraconservatrice della politica iraniana ed era considerato molto vicino alla Guida Suprema dell’Iran, Ali Khamenei, il leader assoluto dell’Iran e rappresentante della fazione più radicale del regime, di cui era anche accreditato come potenziale successore.
Raisi aveva avuto vari ruoli nella Repubblica Islamica dell’Iran, fino a diventare capo del sistema giudiziario del paese nel 2019. Già allora la sua nomina venne considerata una svolta in senso ulteriormente conservatore del regime. Nel 1988, alla fine della guerra che l’Iran stava combattendo contro l’Iraq e dieci anni dopo la rivoluzione khomeinista, fece parte di una delle cosiddette “commissioni della morte” che ordinarono esecuzioni di massa di migliaia di prigionieri politici e combattenti nemici. Quelle esecuzioni durarono cinque mesi, e non fu mai possibile stimare con certezza il numero dei morti, comunque nell’ordine delle migliaia.
Da quando era presidente il regime iraniano aveva attuato una repressione feroce e violenta del dissenso, in particolare dopo le proteste di piazza iniziate in seguito alla morte di Mahsa Amini. Amini era una donna di 22 anni morta il 16 settembre del 2022 a Teheran dopo essere stata arrestata dalla polizia religiosa per non avere indossato correttamente il velo islamico, o hijab, come prescritto dalle leggi iraniane. Si stima che negli scontri siano stati uccisi almeno 500 manifestanti, migliaia siano stati feriti feriti e almeno 20mila arrestati, con ricorrenti testimonianze di abusi, torture e stupri nelle carceri e nei centri di detenzione.
L’Iran di Raisi aveva anche ripreso il proprio programma nucleare militare, dopo il ritiro degli Stati Uniti dallo storico accordo del 2015, che riduceva la capacità dell’Iran di sviluppare la tecnologia per la creazione di un’arma nucleare in cambio della rimozione di alcune sanzioni internazionali imposte sull’economia iraniana. Raisi ufficialmente aveva sempre negato, bloccando ogni possibile ispezione internazionale. Aveva poi finanziato e addestrato vari gruppi militari radicali sciiti per aumentare la propria influenza nell’area mediorientale. In politica estera aveva intensificato i rapporti commerciali e la collaborazione con Russia e Cina e ristabilito rapporti diplomatici con l’Arabia Saudita.
La morte improvvisa del leader 63enne è avvenuta mentre i vertici del Paese lottano con il dissenso interno e intrattengono difficili relazioni con il resto del mondo. Ora la Repubblica islamica, soggetta a sanzioni economiche e coinvolta in un conflitto sempre più aspro con Israele, dovrà tenere elezioni presidenziali in meno di due mesi. La costituzione iraniana prevede che in caso di scomparsa del presidente si dovranno tenere in cinquanta giorni consultazioni per eleggere un successore. Nel frattempo, sarà il primo vicepresidente, che in questo momento è Mohammad Mokhber, ad assumere l’incarico di capo del governo.