«Da giurista e cattolico dubito esista un diritto alla morte». A parlare è il presidente del Consiglio Giuseppe Conte che si pronuncia così sulla questione del fine vita, per la prima volta dopo la sentenza della Corte Costituzionale. «È giusto che ci sia un confronto sereno, serio, in Parlamento. Non voglio far pesare la mia opinione personale: da giurista e da cattolico mentre non ho dubbi che esista un diritto alla vita, perno di tutti i diritti della persona, dico che è da dubitare ci sia un diritto alla morte. Esiste un diritto all’autodeterminazione per cui scelgo le mie cure, ma scegliere di essere avviato alla morte e chiedere l’ausilio di personale qualificato può essere un po’ dubbio». E per quanto riguarda la possibilità per i medici dell’obiezione di coscienza dice: «Se si stabilisce il diritto alla morte, bisogna quanto meno concedergliela».
Una sentenza, quella della Consulta, arrivata per colmare il vuoto lasciato dalla politica che in undici mesi non è riuscita a trovare un accordo sulla legge. Anche se la Corte Costituzionale ha bloccato l’articolo 580 del codice penale, il suo intervento è servito non a chiudere, ma ad aprire la strada a una mossa legislativa e a rimettere nelle mani del Parlamento il compito di legiferare sull’eutanasia e sul suicidio assistito. La sentenza è stata molto criticata, soprattutto da ambienti vicini alla religione cattolica, e nell’ipotesi di una futura approvazione di una legge sul cosiddetto “fine vita” si è già parlato della possibilità che i medici possano fare obiezione di coscienza.
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L’obiezione di coscienza è la possibilità di sottrarsi ad alcuni obblighi per motivi di coscienza. Nell’ordinamento giuridico italiano sono esistite tre forme di “obiezione”: al servizio militare obbligatorio (che non esiste più), alla sperimentazione sugli animali e in campo sanitario (in quest’ultimo caso riguarda l’interruzione volontaria di gravidanza e la legge sulla riproduzione medicalmente assistita). E adesso potrebbe aggiungersi l’obiezione di coscienza al suicidio assistito invocata dalla chiesa. «Non comprendo come si possa parlare di libertà, qui si creano i presupposti per una cultura della morte in cui la società perde il lume della ragione», ha detto il segretario generale della Cei, monsignor Stefano Russo all’indomani della sentenza della Corte Costituzionale su Marco Cappato. «Speriamo in paletti forti. Non ci può stare bene quanto deciso da una sentenza così forte sia arrivata prima di un passaggio parlamentare».
Ancora prima che la sentenza uscisse quattromila medici cattolici hanno dichiarato di essere pronti a fare obiezione di coscienza nel caso in cui il Parlamento legiferasse a favore del suicidio medicalmente assistito. Non solo. Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri (Fnomceo), ha chiesto «al legislatore che sarà chiamato a normare questa delicatissima materia» di sollevare i medici stessi «dal compito finale, affidando l’estremo atto, quello della consegna del farmaco, a un ‘pubblico ufficiale’, a un funzionario individuato per questo ruolo». «Quello che chiediamo è di poter continuare a fare i medici, così come abbiamo sempre fatto. Medici che hanno il dovere di tutelare la vita, la salute fisica e psichica, di alleviare la sofferenza, nel rispetto della libertà e della dignità della persona umana», ha detto Anelli.
Più dura, invece, la presa di posizione dei medici cattolici. «Di fronte a questa deriva eutanasica, e a questa violazione del diritto di alla dignità e alla tutela della nostra attività professionale e del nostro codice deontologico, penso che i medici dovrebbero fare obiezione di coscienza di fronte a ogni ipotesi di suicidio assistito. Noi non diamo la morte». Secondo il presidente dell’Associazione medici cattolici italiani, Filippo Boscia, il codice deontologico dei medici «vieta esplicitamente suicidio assistito ed eutanasia, quindi penso che l’obiezione di coscienza sia assolutamente opportuna». Mentre sottolinea l’importanza, come del resto ha fatto anche la sentenza della Consulta, delle cure palliative, della cui legge deve essere «data finalmente applicazione, cosa che pretenderemo».