L’Italia non riesce a spendere i soldi del Pnrr. Fatto ribadito spessissimo nelle ultime settimane su tutti i quotidiani. O si riscrive il piano o il nostro Paese rischia di vedersi sfuggire già la prossima rata, del valore di 16 miliardi di euro (sui 191,5 totali): è quanto emerge da una relazione del governo. L’Unione europea invierà il denaro solo se l’Italia centrerà i 27 obiettivi fissati per il primo semestre del 2023. e l’Unione europea ha già fatto sapere che osserverà l’operato del nostro Paese con attenzione, soprattutto dopo la decisione di sospendere i controlli della Corte dei Conti.
A dispetto di quanto accaduto in passato, i rilievi tecnici fatti dalla Commissione europea, si sono complicati. Le recenti decisioni del legislatore italiano che ha respinto le pretese di «controlli preventivi concomitanti» della Corte dei Conti sulle previsioni di spesa del Pnrr non sono passate inosservate a Bruxelles. La portavoce della Commissione europea, Veerle Nuyts, ha dichiarato che la Commissione «non commenta i progetti di legge», come quello sulla limitazione dei controlli concomitanti della Corte dei conti sull’attuazione del Pnrr italiano, ma «il Recovery Plan necessita un quadro di controlli che siano adatti e proporzionati alla sua natura unica e in modo che i programmi di spesa si basino sull’efficienza. I sistemi di controllo nazionali rappresentano gli strumenti principali di protezione dell’interesse finanziario dell’Ue e spetta agli Stati membri osservare e verificare il rispetto del diritto dell’Unione e nazionale».
Articolata in otto punti la nota del Governo fa il punto sul dibattito politico e istituzionale in corso sul Pnrr. In sintesi nella nota viene ricordato che l’azione del governo si basa sul principio dell’efficienza e che le dichiarazioni fatte dalla Nuyts sono macchiate dal «pregiudizio non informato» in quanto lo stesso portavoce della Commissione fa «delle considerazioni che alimentano polemiche politiche strumentali che non corrispondono alla realtà». Inoltre Palazzo Chigi ha voluto tranquillizzare la Commissione europea sul fatto che quanto approvato dalla Commissione parlamentare nel dl Pubblica Amministrazione in tema Pnrr non modificano quanto già concordato tra Commissione europea e governo italiano.
Ma ci sono altre cose che non tornano. Per la prossima rata, l’Italia è in ritardo su almeno sei progetti, riporta il Corriere della Sera. Nello specifico, si tratta delle previste 40 stazioni di rifornimento di idrogeno, dell’acquisto di treni Intercity per il Sud; della realizzazione di 2,5 mila colonnine elettriche per auto sulla rete autostradale e 4 mila nelle zone urbane; l’aggiudicazione di tutte le gare di appalto per offrire almeno 264.480 nuovi posti negli asili nido e nelle scuole per l’infanzia; gli investimenti in 9 studi cinematografici a Cinecittà; infine, c’è la partita aperta con l’Ue. L’Italia vuole usare i soldi del piano per sostituire le caldaie a gasolio con altre dello stesso tipo. Ma Bruxelles non ci sta.
Un esempio dei risultati si ha quando si guarda la voce di spesa del Pnrr dedicata alle opere pubbliche: si scopre che questa vale 91 miliardi. Di questi, l’Italia ne ha spesi appena 7 (ovvero l’8%). Vuol dire che nei prossimi 3 anni si dovrebbe trovare il modo di impiegare gli altri 84. Un problema simile si riscontra negli enti che si devono occupare di far progredire i progetti. Comuni, provincie, regioni, Città Metropolitane, società concessionarie, università ed enti di ricerca. Un contesto frammentato, che non aiuta.
Guardando al quadro generale, e non solo alla prossima rata, si vede che sono 120 i progetti in difficoltà. E 11 di questi presentano tre o quattro punti critici. Fra cui, le «misure per la gestione del rischio di alluvione e per la riduzione del rischio idrogeologico»; gli «investimenti in fognatura e depurazione»; lo «sviluppo del biometano»; l’alta velocità ferroviaria Brescia-Verona-Vicenza-Padova; il Piano Italia 5G. Vista la situazione, conclude l’esecutivo, «risulta ineludibile affrontare un ampio processo di riprogrammazione delle misure, in accordo con le istituzioni europee». L’idea è di chiedere che alcune scadenze vengano posticipate, mentre i progetti proseguono «a carico della programmazione 2021-2027 dei Fondi strutturali e del Fondo Sviluppo e coesione 2021-2027».