Gianfranco Miccichè si prende la prima poltrona dell’Assemblea regionale siciliana (anche) con i voti del Partito Democratico ed è il primo, eloquente ed innegabile, segnale politico dell’inciucio politico che già si prospetta all’orizzonte per il dopo voto di marzo tra centrodestra e centrosinistra, tra Berlusconi e Renzi. O più semplicemente tra le due facce della stessa medaglia che non vogliono al governo i Cinque Stelle e si preparano ad isolare pure la sinistra di D’Alema e Bersani. I 39 voti su 69 deputati ottenuti a Sala d’Ercole dal fiduciario siciliano di Berlusconi, con il quorum alla terza votazione che era fissato a quota 35, sono la cartina di tornasole di un patto che Forza Italia e Partito Democratico negano per circostanza ma è già pronto nei fatti. Il soccorso “rosso”, 4 i voti del Pd e 2 di Sicilia Futura, hanno sancito il ritorno alla prima poltrona dell’Ars per Miccichè che in quella stessa sedia si era seduto dal 2006 al 2008 con il governo Cuffaro.
IL VIA LIBERA DI LOTTI. L’inciucio palermitano non soltanto anticipa lo scenario politico nazionale del prossimo marzo, ma è destinato ad accendere il sacro fuoco delle polemiche perché, a quanto pare, è stato sancito con il benestare esplicito del Nazareno. A siglare il tutto, sostengono i bene informati, una telefonata tra il ministro dem Luca Lotti e lo stesso Micciché prima, e poi con un secondo contatto tra l’esponente del cerchio magico renziano e i dirigenti di Sicilia Futura. Da Roma, insomma, è arrivata piena copertura all’appoggio di un pezzo del centrosinistra all’Ars per eleggere a presidente del Parlamento siciliano il commissario di Forza Italia in Sicilia, che era già finito a sua volta nel mirino dei franchi tiratori pure della sua maggioranza perché ritenuto figura politica ingombrante e potenzialmente troppo monopolizzante per il neogovernatore Musumeci. L’asse tra Sicilia futura e Forza Italia è un abbraccio politico al quale non sono stati estranea, a quanto pare, i renziani doc del Pd e la riprova è che non a caso non c’è stata nessuna sanzione da parte della segreteria nazionale del Pd verso il comportamento in aula di Sicilia Futura.
IL DUELLO CON MUSUMECI. «Non è un’operazione politica, è una mia personale operazione», ha replicato Gianfranco Miccichè alle polemiche scatenatesi sulla sua elezione con l’aiuto del Pd, ma è una spiegazione che non convince ed evidentemente non basta a placare gli animi nell’agone politico siciliano e nazionale. Adesso inizia un’altra partita, all’alba di una legislatura siciliana destinata a caratterizzarsi per la presenza in campo di due personalità forti e quanto mai differenti tra loro. Miccichè e Nello Musumeci, oggi alleati ma storicamente nemici, con un carico di ruggini mai sopite e forse pronte a riesplodere da qui a poco. Il neopresidente dell’Ars determinò con la sua (inutile) candidatura alla guida di Grande Sud la sconfitta di Musumeci alle Regionali 2012. Senza dimenticare che anche in questa campagna elettorale, sino all’intervento risolutivo di Berlusconi, Miccichè aveva a lungo sponsorizzato altre candidature alla presidenza della Regione, snobbando Musumeci in favore ad esempio di una nomination per Armao. Sgambetti che il nuovo governatore siciliano non ha dimenticato. Schermaglie mai sopite che potrebbero presto ripresentarsi, sull’onda di un equilibrio politico teso come la corda di un violino, un patto d’autunno che nel 2018 promette scintille. E non è difficile immaginare che il prima vero banco di prova potrebbe arrivare tra due mesi, quando Vittorio Sgarbi lascerà l’assessorato ai Beni Culturali per candidarsi alle Nazionali. E manco a dirlo Miccichè reclama quella poltrona per Forza Italia.