Il Sessantotto, inteso come fenomeno storico, comincia a mostrare i primi capelli bianchi. I tempi della tensione politica, delle lotte, anche aspre, per il riconoscimento dei diritti sociali, delle occupazioni universitarie e del confronto intergenerazionale e fra classi sociali differenti, come studenti e operai, sembrano definitivamente scomparsi, lontano oltre le colline della storia. Quell’incredibile spinta propulsiva, quell’energia vibrante che ha fatto fibrillare i cuori di un’intera generazione appare oggi imbolsito, forse anestetizzato dall’ampia diffusione della tecnologia che ha disumanizzato, per certi versi, i rapporti interpersonali. Parole come “utopia”, “ideale” o “dissidente” non trovano terreno altrettanto fertile come lo trovarono negli anni del Sessantotto. Benché, fortunatamente, vi siano ancora delle generazioni impegnate e pugnaci, come la cosiddetta “generazione Erasmus”, si ha la sensazione che per i giovani, veri protagonisti di quella stagione, le priorità oggi siano altre.
LA PRIMAVERA DI PRAGA. Non riusciremmo a riassumere in poche righe tutti i fatti storici più significativi di questo periodo neanche se lo volessimo. Chi scrive crede, tuttavia, che uno dei simboli più pregnanti di significato, quantomeno per l’Europa sia la primavera di Praga e Jan Palach. Jan l’idealista, il ragazzo di Praga, morto nella primavera di Praga, in un tardo pomeriggio di gennaio, nel centro della sua città, il suo cuore pulsante. Jan, come tanti ragazzi della sua generazione, chiedeva a gran voce il riconoscimento dei diritti civili per il popolo cecoslovacco, urlava contro il cielo il suo anelito di libertà, libertà dal giogo sovietico. Gli ideali di Jan erano dirompenti, ustionanti, bruciavano come il fuoco, il fuoco che lo ha consumato sul selciato di Piazza San Venceslao di fronte ai carri armati sovietici, di fronte all’arroganza del totalitarismo. «Non dobbiamo pensare troppo a noi stessi, l’uomo deve lottare contro il male che riesce ad affrontare» affermò il giovane Jan dopo il suo estremo gesto, nel pieno di una lucida agonia durata 3 lunghissimi giorni. Il suo atto di estrema dedizione alla causa fece il giro del mondo, accorsero in 600 mila a celebrarne le esequie. Jan rimane un imperituro esempio di sacrificio per le proprie idee, l’estrema difesa dell’essere liberi di fronte alla protervia del potere, una scintilla che brucia ancora nel fiume della storia.
LE INFLUENZE IN CAMPO ARTISTICO E MUSICALE. Chi pensa che il sessantotto abbia rappresentato soltanto una stagione di lotte e confronti socio-politici su base globale non ne ha certamente inteso la portata e la profondità. È indiscutibile che una buona fetta del palcoscenico l’abbiano presa personaggi come Malcom X o Martin Luther King, paladini della lotta al razzismo negli USA, o fenomeni come gli anni di piombo, le proteste contro la guerra in Vietnam o la rivoluzione culturale in Cina, declassare però il contributo che fenomeni artistici come la pop art o il rock and roll hanno dato a questo periodo storico sarebbe estremamente ingrato. Il sessantotto ci ha donato veri e propri giganti dell’arte e della musica. Si pensi ad Andy Warhol e alla varietà della sua produzione artistica tra pittura e scultura passando per il cinema. Warohl ha rappresentato provocatoriamente la degenerazione del consumismo dando vita ad un’arte che si prestava ad essere “consumata” dal fruitore come qualsiasi altro prodotto commerciale. Come dimenticare poi i gruppi musicali simbolo di questa stagione, Rolling Stones, Beatles o figure come Jim Hendrix, Jim Morrison e Elvis Presley autori di un beat ribelle, anti-conformista e anti-tradizionalista. Che dire poi delle note immortali del Premio Nobel Bob Dylan, la sua “Blowin’ in the Wind” rappresenta un’icona consegnata per sempre alle pagine di storia, intrisa di messaggi di pacifismo e solidarietà. L’interrogativo principale da porsi è: cosa rimane oggi del retaggio del 1968? Ne ha trattato recentemente il cantante rap Caparezza in una canzone dal titolo “La Rivoluzione del Sessintutto” in cui l’artista, con salace ironia, vorrebbe scuotere le nuove generazioni dal torpore che li avrebbe colte negli ultimi decenni. «Che fine ha fatto la protesta studentesca, sodomizzata in una tresca da palestra, il ’68 è un interrogativo ma il numero successivo ti resta nella testa».