Cosa accomuna quattro corridori giamaicani e un panciuto signore inglese con la passione per lo sci? Ascoltano tutti e cinque musica reggae? Forse. Ah sì, le loro nazioni di appartenenza fanno entrambe parte del Commonwealth! Sì, in effetti è vero, ma non è neanche questo. Diciamo che è più un elemento a connetterli: la neve. E un posto speciale: Calgary, là dove nel 1988 i cinque, più o meno consapevolmente, sono diventati i perdenti più vincenti di sempre.
COOL RUNNINGS. La Giamaica è un posto meraviglioso, dove fa caldo tutto l’anno e ci si crogiola al sole dei Caraibi. Il posto è famoso per la sua musica, il reggae, portato al successo universale da un certo Robert Nesta Marley, la cui effigie avrete visto sicuramente sulle maglie di qualcuno; c’è un’altra cosa per cui è famosa la Giamaica ma questo articolo è “Giovanardi friendly”, per cui lo lasciamo solamente intuire. Ciò che conta per noi è che la Giamaica ha una straordinaria tradizione sportiva nel campo dell’atletica leggera. E dalle spiagge caraibiche proviene l’uomo più veloce del mondo, quell’Usain Bolt capace di correre i 100 metri in 9.58’’. Visto che questi giamaicani corrono veramente veloce qualcuno pensò di farli competere nel bob. Ma per il bob serve il ghiaccio, e ai Caraibi non sempre nevica…
RECLUTAMENTO. Tutto ha inizio tra le strade sterrate di Kingston. George Fitch e William Maloney, due americani con interessi familiari in Giamaica, si trovano a osservare una corsa di carretti tipica del luogo: uomini che si lanciano all’interno di bare di legno su ruote a folle velocità per i pendii della città. Uno spettacolo folkloristico che però fa balenare ai due statunitensi una balzana idea: formare una squadra di bob tutta giamaicana. Questo perché quelle carrette cigolanti assomigliano terribilmente ai bob sui quali gli atleti più forti del mondo si sfidano sulle piste ghiacciate. Ecco che il progetto è pronto. Tuttavia bisogna trovare dei giamaicani interessati a gareggiare in uno sport invernale, dato che l’isola, ovviamente, non possiede impianti sciistici e visto anche il fatto che il bob a 4 non è di certo lo sport nazionale. Fitch e Maloney si rivolgono così alle forze armate per il reclutamento. L’annuncio parla chiaro: “Cercasi un gruppo di uomini rigorosi e pericolosi”. In pratica l’identikit di Devon Harris, tenente del secondo battaglione dell’esercito giamaicano. Insieme a lui si propongono il capitano dell’aeronautica Dudley Stokes, il soldato della Riserva Nazionale Michael White e l’ingegnere ferroviario Samuel Clayton. A questo punto, con l’equipaggio assemblato, non resta che cominciare ad allenarsi. Ma dove? Serve il giaccio adesso perché l’obiettivo è Calgary, dove nel 1988 si terranno le olimpiadi invernali.
ROAD TO IMPOSSIBLE. All’inizio i 4 si allenano su quelle strade sterrate e su quelle bare su ruote che avevano ispirato Fitch e Maloney, ma sotto la guida dell’allenatore austriaco Sepp Haidacher, vecchia gloria del bob, il team si sposta a Lake Placid, dove qualche anno prima si era già compiuto un miracolo olimpico, il “Miracle on Ice” compiuto dalla nazionale americana di hockey su ghiaccio che ispirerà anche un film. Con l’auspicio di ripetere l’exploit degli hockeisti statunitensi, l’equipaggio si mette all’opera. Con risultati molto scarsi. Se mettete un pesce in aria, quello non vola, cade a terra. Allo stesso modo se metti un giamaicano sul ghiaccio, quello non riuscirà a diventare un atleta di sport invernali. Almeno non subito. Harris e Co. si impegnano al massimo e riescono, pian piano, a rendersi presentabili per l’appuntamento olimpico. La qualificazione ai Giochi non è un problema: non ci sono dei trials da superare dato che i quattro sono gli unici giamaicani a presentarsi alle Olimpiadi invernali. Così si parte per Calgary, con l’auspicio magari di vincere incredibilmente qualcosa. L’auspicio appunto, perché gli equipaggi europei e nordamericani sono spanne sopra ai giamaicani che concluderanno la loro gara con un ribaltamento. Ma la gente li ama. Così i giamaicani, “the hottest thing on ice”, si rialzano, si mettono il bob in spalla e tagliano a piedi il traguardo. Un’ovazione li attende e una pagina di storia che li renderà immortali, tanto che la loro vicenda ispirerà il film della Disney “Cool Runnings”. La Giamaica si presenterà ancora ai Giochi invernali e migliorerà anche i propri risultati. Cosa che non riuscirà a fare quel panciuto signore britannico del quale parlavano all’inizio.
LE COLLINE DEL GLOUCESTER. La Gran Bretagna è la patria del calcio. È terra di superbi atleti di mezzofondo, come sir Sebastian Coe o Mo Farah. Non è il posto adatto però per gli sciatori. Fa freddo eh, indubbiamente, ma non ci sono montagne dove poter sciare. E infatti, i britannici non hanno una tradizione importante negli sport invernali, che nonostante ciò sono seguiti da un sempre crescente numero di appassionati. Uno di questi, Michael Thomas Edwards, detto Eddie, ha la passione per lo sci da quando, a 13 anni, la collina del Gloucester dove viveva si imbiancò la prima volta, e lui provò a percorrerla a gran velocità. Eddie ha un sogno, partecipare alle Olimpiadi e rappresentare la Gran Bretagna. Ma non si rivela particolarmente talentuoso. Qualificarsi ai Giochi sembra dunque una chimera, anche facendo parte di un movimento che non è nullo come quello giamaicano ma che comunque è sempre scarso. Eddie fa delle ricerche e scopre che la sua nazione non presenta nessun atleta nella disciplina del salto con gli sci da oltre 60 anni. È la svolta. C’è una falla nel sistema del Cio che permette agli atleti di discipline non rappresentate nel proprio Paese di presentarsi senza bisogno di specifiche abilità (la stessa falla che ha permesso ai bobbisti giamaicani di gareggiare) ed Eddie la sfrutta in pieno. Sarà a Calgary e salterà con gli sci. C’è solo un problema: non ha idea di come si salti con gli sci.
LE COMICHE. Un altro dei motivi per cui la Gran Bretagna è famosa sono le comiche. Benny Hill per dirne uno, Eddie Edwards per dirne un altro. Il nostro eroe infatti si presenta all’appuntamento olimpico con la stessa forma fisica di un tassista pensionato e alle gare a cui partecipa fa una figura abbastanza barbina. Il salto con gli sci è infatti una disciplina molto tecnica, che richiede molto più di qualche mese di allenamento partendo da zero. In ogni fase della discesa, dallo stacco, al volo, all’atterraggio, l’atleta deve compiere tutta una serie di piccoli ma decisivi movimenti che, se sbagliati, non solo non permettono di coprire lunghe distanze, ma rischiano anche di far sfracellare al suolo il saltatore. Consapevole di ciò, Eddie scende piano, senza rischiare: ma nel salto con gli sci chi va piano va sì sano, ma non lontano, ed Edwards si classifica ultimissimo in tutte le gare. Ma la folla lo acclama a gran voce e gli dà, ironicamente, il soprannome di “Eddie The Eagle”, l’aquila. Un’aquila che non sa volare. Edwards, terminata l’avventura olimpica e coronato il suo sogno, diventerà un personaggio e trascorrerà gli anni successivi tra ospitate televisive ed eventi celebrativi. Eddie “The Eagle” e i quattro sotto zero: due facce della stessa medaglia, quella dell’ultimo posto, evitata da tutti i campioni ma ricercata da chi ha voglia di partecipare. Il Cio ha riparato quella falla nel sistema ma dopo i giamaicani, ad esempio, sempre più paesi senza tradizione invernale hanno cominciato a partecipare, previa una selezione più rigorosa, ai Giochi. Le Olimpiadi di Calgary ci hanno regalato una pagina di sport che, per quanto ironica e quasi comica, dà l’idea di cosa lo sport dovrebbe essere, della sua essenza più pura e poetica. Quella che il Barone de Coubertine ha sempre anelato. Perché molte volte chi perde può ispirare molto di più di chi vince.