Si tratta di un vero e proprio terremoto le cui conseguenze assumono, questa volta, un connotato morale piuttosto che fisico. Per fortuna. Chissà se i 350 imprenditori aquilani che hanno ricevuto in questi giorni le cartelle esattoriali e le famiglie dei loro dipendenti si aspettassero di veder tremare ancora le proprie vite, questa volta all’ombra della lunga mano della burocrazia europea e nazionale. Abbiamo tutti ancora negli occhi e nel cuore le immagini strazianti dei corpi estratti dalle macerie, le urla dei sopravvissuti, la paura e l’angoscia per un futuro tutto da decifrare. E poi le lungaggini per la ricostruzione dei siti distrutti, gli scandali e la corruzione degli appalti pubblici con quelle ignobili risate scagliate dall’auricolare di un cellulare all’altro, la rigidità degli inverni trascorsi lontano da casa. Non sembra esserci pace, insomma, per gli abruzzesi coinvolti da questo triste cataclisma naturale.
TERREMOTO FISCALE. Sono scesi in piazza lo scorso 16 aprile, a migliaia, per chiedere un ripensamento ed un’azione politica forte da parte delle istituzioni italiane sulla richiesta dell’Ue di restituire parte delle tasse sospese e poi decurtate del 60% agli imprenditori abruzzesi che avevano subito i danni del sisma con apposita legge dello Stato. Una protesta pacifica ma determinata che ha visto in campo sindaci, forze politiche e società civile che si sono riuniti all’Aquila per manifestare sotto lo slogan “No al terremoto fiscale”. Il pomo della discordia è rappresentato dalle 350 cartelle esattoriali che altrettanti imprenditori si sono visti recapitare negli scorsi giorni e contenenti l’ingiunzione di pagamento entro 60 giorni delle decurtazioni di cui questi avevano beneficiato dopo l’evento calamitoso che ha colpito l’Abruzzo nel 2009. «Se fossimo costretti a restituire queste somme molte imprese rischierebbero il fallimento con le prevedibili ricadute occupazionali che tutti possono immaginare», hanno dichiarato in coro gli imprenditori colpiti. «Le istituzioni intervengano subito per far valere questa battaglia di civiltà e difendere gli interessi della Nazione a Bruxelles», ha aggiunto il primo cittadino Pierluigi Biondi. Tra i leader politici che più ci hanno messo la faccia c’è Giorgia Meloni: «Sono scesa in piazza all’Aquila al fianco del sindaco Biondi per dire no a un provvedimento folle dell’Unione Europea, che pretende la restituzione degli aiuti che furono fatti agli imprenditori dopo il terremoto del 2009. Noi vogliamo andare al governo per andare in Europa, battere i pugni sul tavolo e dire che queste ingiustizie non le accettiamo più». Una lettura politica che lega la vicenda alla composizione del nuovo Governo, ritenuta sempre più prioritaria da tutte le forze politiche per affrontare le emergenze nazionali ed internazionali che si profilano all’orizzonte, e che punta ancora una volta il dito contro l’Unione Europea.
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LA RISPOSTA DELL’UE. Da Bruxelles però l’Ue non rimane in silenzio e per bocca di un portavoce ha inteso specificare innanzitutto come la richiesta di restituzione non riguardi una platea indiscriminata ma soltanto «le compensazioni fiscali ingiustificate ovvero quelle ricevute da imprese che non avevano attività economiche ma solo la sede legale sul territorio o che hanno ricevuto di più rispetto ai danni subiti». Secondo Bruxelles, dunque, non una mancanza di sensibilità, come denunciano in tanti, ma soltanto la necessità di applicare le regole comunitarie evitando le speculazioni dei furbetti. A questo proposito proprio l’Unione ricorda di aver approvato lo schema di aiuti da 44 milioni di euro per il 2018-2020 per i terremoti del 2016-2017 a riprova della sua buonafede in quest’ambito. In aggiunta, le istituzioni comunitarie sottolineano anche l’imperizia del legislatore italiano nella composizione delle normative inerenti le vittime di catastrofi naturali. «L’insieme delle misure italiane prese tra il 2002 e il 2011 per le agevolazioni fiscali alle imprese vittime delle catastrofi naturali non erano ben mirate in quanto non richiedevano in alcun modo di dimostrare di aver subito danni – punta il dito l’Ue – quindi alcune imprese si sono ritrovate con un indebito vantaggio economico sulle loro concorrenti. Secondo le regole Ue, questo costituisce un aiuto di Stato illegale e va quindi recuperato per rimediare alla distorsione del mercato così causata». Il solito pasticcio all’italiana verrebbe da dire ascoltando la campana europea.