Taranto. Nell’era eccessiva del glam e del prog rock, quando nelle hit parade impazzavano Abba e Showaddywaddy, sembra assurdo che siano usciti fuori i Kraftwerk, esibendosi vestiti come bancari in luoghi semi-pieni, creando musica aliena senza una chitarra in vista. Incomprensibili, furono derisi. «Per l’amor di Dio, tenete i robot fuori dalla musica», fu la scelta di Melody Maker, rivista musicale che in quei tempi dettava legge. Eppure, come Beatles e Rolling Stones nel rock, come Bob Dylan nella canzone d’autore, quei quattro ragazzi di Düsseldorf stavano segnando uno spartiacque che avrebbe mutato irreversibilmente il corso degli eventi.
UNA INFLUENZA PARI A QUELLA DEI BEATLES. Quei ragazzi proiettati verso il XXI secolo stavano gettando le basi per molti generi musicali attuali: techno, hip hop, dubstep. Dai New Order ai Depeche Mode, da David Bowie a U2 e Coldplay, molti sono in debito con la band tedesca. Profetici, molto prima dell’avvento di Internet, i Kraftwerk avevano capito come la tecnologia avrebbe influenzato la vita di tutti i giorni, intuendo l’inesorabile ascesa dell’interconnettività (“Computer World”), il modo in cui le persone single avrebbero usato i mezzi digitali per trovare, se non la compagnia, «un appuntamento» (“Computer Love”), persino il rischio del furto dei dati. Il ritmo e la melodia venivano contemporaneamente separati e combinati nel loro suono. Per questi motivi vennero definiti la band «più influente nella storia della musica insieme ai Beatles» (teoria sostenuta dall’autorevole rivista musicale inglese New Musical Express). A quasi cinquant’anni dal loro debutto, i Kraftwerk di Ralf Hütter non hanno perso nulla della loro credibilità, padri rispettati della scena elettronica, capaci ancora di stupire il pubblico con performance audiovisive sempre all’avanguardia. In seimila sono arrivati giovedì sera sulla Rotonda del Lungomare Vittorio Emanuele III di Taranto per assistere all’unica esibizione italiana della band tedesca, concerto che ha aperto l’edizione 2018 del Medimex, il più importante Salone della musica e di tutto quanto ruota intorno alle sette note che si svolge nel Sud d’Italia. Tutti a guardare con gli occhialini 3D dati all’ingresso il monolito nero, davanti al quale sono piazzati quattro sintetizzatori, ognuno con la propria pedana. Scaletta a parte, il “3D Concert” travalica il concetto di “concerto classico”, in cui un gruppo musicale propone dal vivo delle canzoni registrate precedentemente in studio e pubblicate in album. Ralf Hütter è parte di una performance artistica, più che il demiurgo. «Oggi la musica è dappertutto, disponibile sempre e ovunque gratuitamente, attraverso un computer, in streaming su uno smartphone, ma nulla più di un concerto permette di viverla in modo tanto profondo ed empatico» sostiene Hütter. «Per questo la gente è interessata a seguire i live, e direi anche molto più interessata oggi che in passato. Nel nostro caso poi, grazie all’utilizzo del surround e delle immagini tridimensionali il pubblico entra in un mondo sonoro a parte che non avrebbe senso ascoltare in un paio di cuffiette, e può seguire dei visual che non avrebbe alcun senso cercare di seguire sul piccolo schermo di un telefonino. A meno di non accontentarsi di musica in miniatura, di uno snack invece di un pranzo completo».
UN VIAGGIO MUSICALE IN 3D. Ralph Hütter, 72 anni il prossimo 20 agosto, è il cerimoniere di un viaggio senza sosta tra krautrock e kosmische musik, tra musica assoluta e synth pop. Sul palco i quattro Kraftwerk, fasciati da tute nere integrali solcate da led luminosi, si esibiscono in piedi dietro misteriose console di corrispondenza, con i loro volti impassibili. Gli altri membri della band – Fritz Hilpert (percussioni elettroniche) ed Henning Schmitz (percussioni elettroniche, sintetizzatore) – si chiamano operatori, non musicisti, e uno – Falk Grieffenhagen – si occupa di proiezioni video. Nelle due ore di live, le canzoni che hanno consacrato i Kraftwerk come pionieri della musica sintetica ci sono tutte, ma la performance è completa solo grazie al rapporto tra il minimalismo spinto di una band immobile (e perlopiù silenziosa) e i visual sincro in 3D che giocano tra codici binari, sequenze numeriche, microchip, esplosioni atomiche, ma anche immagini vintage di star del cinema e corse di ciclismo. I Kraftwerk, che si autodefiniscono “uomini-macchina che possono viaggiare in tutto il mondo”, hanno sempre evitato il culto della personalità del pop. Herr Hütter anche fuori dal palco è freddo e distaccato, a volte affabile, altre diffidente. «I Kraftwerk non hanno fatto mai pop, anche se canzoni come “Autobahn” e “The Model” sono stati successi internazionali» tiene a precisare. E spiega: «Abbiamo anche una struttura molto minimale, quindi non è drammatica. È più modulare. Sono componenti, è concettuale. C’è sviluppo, graduale. Mentre nella musica classica c’è il dramma, nella nostra non c’è. Noi negli anni abbiamo creato un’estetica, immagini, linguaggi, sorgenti di suono, anche rumori che prima non esistevano, non ci siamo solo limitati a fare musica e registrare dischi. Ci sono ingegneri del suono che lavorano per noi alla realizzazione di nuovi strumenti musicali e di programmi che poi vengono utilizzati nei nostri concerti». Ordinato ed energico, herr Hütter è un ciclista che regolarmente affronta escursioni di duecento chilometri. Una passione che lo ha portato a riformare il gruppo nel 2003 per registrare la colonna sonora per il centesimo anniversario del Tour de France, che è un momento clou dello show. «È un po’ parte della nostra cultura. Il tour dura da oltre cento anni. È un’istituzione culturale. Siamo stati ispirati dalla registrazione del respiro, del battito cardiaco e di altri suoni delle biciclette. È importante quando ti muovi con la bicicletta per ascoltare l’ambiente, i dintorni, il vento e il tuo stesso respiro. Siamo molto interessati alle dinamiche, all’energia e al movimento. La parola tedesca è vorwärts (avanti, nda), è quello che fai con la tua bicicletta. Vai avanti. Ed è quello che facciamo noi con la musica. Andiamo avanti».
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ALLA FINE RESTANO I ROBOT. Stupiscono il pubblico di Taranto quando in “Spacelab” geolocalizzano la Città dei due Mari, facendo decollare da lì una astronave. Con brani simbolo come “Autobahn” e “Tran Europa Express” il viaggio diventa senza freni. Il loro successo del 1982, “The Model”, è stato consegnato praticamente com’è stato registrato, presumibilmente perché non è necessario manomettere la perfezione pop. Splendida “Radioactivity”, canzone del 1976, originariamente un’ode alle onde radio e alle radiazioni, è ora diventata un inno per le vittime di disastri nucleari, da Sellafield a Chernobyl a Fukushima. Ralph Hütter, musicista senza tempo e con bicicletta, è rimasto l’unico membro della formazione originale. Quando tutti i musicisti vengono rimpiazzati da repliche Android a grandezza naturale e in movimento per “The Robots”, è un assaggio di uno scenario futuribile: quando saranno tutti spariti, le macchine eseguiranno la musica. Ma fino a quando ciò non accadrà, l’umanità intrinseca dei Kraftwerk sembra più sorprendente, dato che il mondo diventa sempre più computerizzato e remoto.