La notizia dell’arrivo sul grande schermo di un biopic dedicato alla scalata al successo di Madonna negli anni Ottanta non piacque molto alla diretta interessata. Tutt’altro. «Nessuno sa ciò che io so e ciò che ho visto», sostenne la popstar, regista e attrice. «Solo io posso raccontare la mia storia. Chiunque altro ci provi è un ciarlatano e un pazzo in cerca di gratificazione istantanea senza lavorare. Questa è una malattia della nostra società». Il film – messo in cantiere da Universal e scritto da Elyse Hollander – rimase quindi in fase embrionale. Così apparve azzardata la scelta del regista Guy Guido di realizzare un film proprio sulla fase iniziale della carriera della popstar. Eppure stavolta di “Madonna and the Breakfast Club” è già uscito il trailer e lei, Madonna Louise Veronica Ciccone, non ha finora chiesto di boicottare il progetto.
POP È DONNA, ANCHE IL CINEMA SI COLORA DI ROSA. Descritto come un «docudrama sui giorni di Madonna a New York, prima di diventare famosa, con la sua band», “Madonna and the Breakfast Club” si può in effetti considerare un documentario, con interviste e immagini originali al tempo in cui la futura material girl si chiamava ancora Madge e non cantava ma suonava la batteria per il suo primo gruppo, i Breakfast Club, appunto. C’è anche una parte ricostruita, ma per interpretare il ruolo della regina del pop è stata scelta un’attrice, Jamie Auld, al suo primo ruolo, di cui si parla già in termini di doppelgänger, doppio clone della musicista perché a tratti si fa davvero fatica a distinguerla dalla vera Madonna.
Il film su Madonna fa seguito a quelli su Whitney Houston, Amy Winehouse, Janis Joplin. I biopic di argomento musicale aumentano a ritmo esponenziale, e il numero di quelli recitati è ormai pari se non superiore a quello dei documentari. Prendi “Vox Lux”, che vede Natalie Portman nelle vesti di una camaleontica popstar sfinita inseguire un secondo Oscar otto anni dopo la statuetta per “Il cigno nero” di Darren Aronofsky. Natalie Portman torna a ballare, anche se di tutt’altro genere di danza si tratta, e soprattutto canta mettendo in scena la storia di Celeste, che oggi riempie gli stadi ma deve il suo successo a un drammatico evento della sua adolescenza, quando un giovane disturbato massacrò l’insegnante di musica e metà della sua classe lasciando Celeste ferita, ma viva. Afflitta da scandali, traumi passati, celebrità e trucco per gli occhi, ma sostenuta da alcuni stompers electro-pop (per gentile concessione di Sia), Celeste è una donna emblematica del XXI secolo che cammina sul filo del rasoio.
Si potrebbe dire lo stesso di Elisabeth Moss, protagonista di “Her Smell”. L’eroina di “The Handmaid’s Tale” si cala nei panni di Becky Something, talentuosa e difficile front-woman di una band grunge degli anni Novanta che è sull’orlo del tracollo (abuso di sostanze, bagaglio di famiglia, soliti sospetti) e che vagamente potrebbe far tornare alla memoria la Courtney Love dei tempi delle Hole. Il regista Alex Ross Perry descrive il film come «una tragedia in cinque atti su una punk band al femminile». E, ancora, Elle Fanning, concorrente pop dell’Isola di Wight nel film “Her Smell is Teen Spirit” di Max Minghella. Una variazione più grintosa sullo stesso tema è “Wild Rose”, con la star nascente Jessie Buckley (l’ultima volta in “Beast”) nei panni di una ex detenuta di Glasgow e madre single che sogna di diventare una cantante country.
LADY GAGA: A STAR IS BORN. Le donne dominano il pop, e il cinema si adegua. Lady Gaga in “A Star Is Born” di Bradley Cooper ha rubato le luci della ribalta agli attori di professione e alle star che l’hanno preceduta nella saga della giovane scoperta e del suo dissoluto e autodistruttivo mentore (dalla prima apparizione del 1937, seguita dal musical con Judy Garland del 1954 e della versione pop con Barbra Streisand del 1976). Abbandonando plateali maquillage e provocazioni, Stefani Germanotta dimostra che può davvero recitare e cantare allo stesso tempo, rivelando il carisma coinvolgente da diva un po’ rétro.
«Corono il sogno di diventare attrice, qualcuno ha creduto in me», ha raccontato alla recente Mostra del cinema di Venezia. «Questa – ha detto la cantante di origini messinesi – è una storia che toccherà tutte le persone del mondo, perché parla di umanità. E per me è stata un’esperienza pazzesca». Ally – così si chiama la ragazza che Lady Gaga interpreta – nel momento in cui la conosciamo ha rinunciato a tutto e ha bisogno dell’amore di Jack – Bradley Cooper – che ha creduto in lei. Nel personaggio del film Lady Gaga oltre alla voce mette anche la sua vita. «Quando ho iniziato io, avevo 19 anni, portavo il mio piano da un club all’altro, ma credevo in me». Per farle accettare la parte, Bradley Cooper l’ha accolta sui gradini di casa sua con lo struccante in mano e le ha detto una cosa che alla diva pop è rimasta dentro: «Voglio vederti senza trucco». E così la si vede per buona parte del film: «Ho scoperto un “nuovo trucco” – ha detto Lady Gaga – e una nuova vulnerabilità. Mi ha reso più libera».
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L’EPICA DELLE ROCKSTAR. La vita delle star della musica (rock, pop ma non solo: Amadeus è un esempio ante litteram) offre spunti avventurosi e insoliti, in grado di creare un’epica esaltante e un po’ nostalgica anche alla luce dell’attuale penuria di storie originali. Ma altre volte i biopic seguono un andamento più tradizionale.
È il caso di “Bohemian Rhapsody”, l’omaggio a “sua maestà” Freddie Mercury, frontman dei Queen. Quattro anni di trattative, discussioni, smentite, scelte di attori poi sconfessate (clamoroso il caso di Sacha Baron Cohen) e polemiche sparse. “Bohemian Rhapsody” arriverà sugli schermi in novembre con Rami Malek nel ruolo del cantante. Mantiene la firma il regista Bryan Singer, licenziato nelle ultime settimane di lavorazione e sostituito da Dexter Fletcher. Prodotto da 20th Century Fox e incentrato sui quindici anni tra la nascita della band e la celebre esibizione a Live Aid del 13 luglio 1985 a Wembley davanti a una folla di 72mila persone, “Bohemian Rhapsody” è stato fortemente voluto da Brian May e Roger Taylor, fondatori e depositari della storia e dell’eredità non solo artistica della band. E, alla fine, il film si rivela più una celebrazione dei Queen piuttosto che un biopic, sorvolando con troppa facilità sui temi dell’omosessualità e degli eccessi di Mercury.