I suoi capelli erano tutti arruffati. Scarpe da tennis e giacca di pelle nuova. Emanava energia e fame mentre si precipitava letteralmente sui tavoli del piccolo nightclub del Greenwich Village, cantando di voler scappare dalla sua casa di Jersey, alla ricerca di opportunità e della terra promessa. Era l’agosto del 1975, due settimane dopo sarebbe arrivato l’album “Born to Run” trasformando Bruce Springsteen nel “Boss del rock”.
Quarant’anni (e oltre) dopo, il Boss calca il palcoscenico di un piccolo locale a Manhattan, il Walter Kerr Theater da 975 posti a Broadway. Ha i capelli tagliati corti, una giacca di pelle invecchiata sopra una semplice t-shirt bianca con scollo a V, pantaloni larghi da carpentiere, vecchi stivali marroni che non hanno mai incontrato lo smalto e un anello d’oro a forma di ferro di cavallo sull’anulare destro. Ed è truccato. Sta seduto a un pianoforte a coda oppure si ferma di fronte a un microfono, imbracciando una chitarra acustica. Questa volta, Springsteen non corre, né è alla ricerca di qualcosa. Questa volta riflette sulla sua vita: da dove viene, dov’è stato, cosa ha realizzato. “Springsteen on Broadway”, l’ultimo sforzo nella sua carriera da Rock Hall of Fame, è in parte monologo, in parte musica. Uno show senza precedenti. Non c’è da stupirsi che gli sia stato assegnato un Tony Award speciale (l’Oscar del teatro). I biglietti per “mister Working Class” andavano da 200 a 850 dollari. E sono andati a ruba. Lo spettacolo ha debuttato il 3 ottobre 2017 con una serie di previews. Il 12 ottobre 2017 la prima data ufficiale. Da allora ha registrato il sold-out ogni sera. Doveva durare otto settimane ed è stato prolungato per tre volte. Il 15 dicembre calerà definitivamente il sipario e per celebrare questo successo il giorno prima sarà pubblicato “Springsteen On Broadway”, registrazione dello spettacolo in 4LP, 2CD e in versione digitale. “Springsteen On Broadway” sarà anche il titolo dello speciale show trasmesso da Netflix dal 16 dicembre, il giorno dopo la fine delle repliche dello spettacolo.
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LO SPETTACOLO. Il cuore dello spettacolo è l’onestà nel dichiararsi “disonesto”, mettendo in luce i suoi difetti, le sue contraddizioni e le sue mancanze, quasi a voler cancellare quell’aura di epicità che da sempre è associata alla sua persona. «Non ho mai avuto un lavoro onesto in tutta la mia vita» afferma nello spettacolo. «Non ho mai lavorato dalle nove alle cinque. Non ho mai fatto un lavoro duro. Eppure è tutto ciò di cui ho scritto nelle mie canzoni. Sono diventato incredibilmente famoso nello scrivere brani su qualcosa che non conosco in prima persona».
«Ora sono un attore» ride. Forse è sempre stato un attore, interpretando la parte di Bruce Springsteen, il personaggio nel quale si trasforma nelle canzoni, sul palco e nelle interviste. Un personaggio ormai mitico e che tenta di sfatare in “Springsteen on Broadway”.
Le parole pronunciate che occupano gran parte dello spettacolo sono tratte dalla sua autobiografia del 2016, “Born to Run”. Questo rende lo show un po’ come una sorta di audiolibro con canzoni. Anche se il Boss, sempre più cantastorie, ha perfezionato il suo tempismo, prendendo il ritmo giusto con le sue battute e riuscendo a ottenere un effetto drammatico.
LA FAMIGLIA, GLI AMICI, IL MALE OSCURO. Con l’occhio vivido di un romanziere, Springsteen parla del suo quartiere di Freehold, New Jersey, i luoghi, i suoni, i personaggi. «No, non è un concerto rock. E non faccio teatro» mette le mani avanti. «Sono semplicemente io, che vi porto sulle crepe del mio vecchio marciapiede di Randolph Street». Poi canta “My Hometown”, che diventa ancora più avvincente contestualizzata alle sue radici. La narrazione scorre con descrizioni dettagliate e momenti emotivi, ma è l’umorismo autoironico che umanizza il Boss del rock. «Attualmente vivo a dieci minuti dalla mia città natale. Sono nato per stare a casa» fa ridere la platea. Particolarmente toccanti le storie sul padre (il suo eroe, con il quale non andava d’accordo), sulla madre (la sua più grande fan, ha 93 anni e da sette anni l’Alzheimer) e sugli amici (uno dei quali morì in Vietnam). E poi il male oscuro, la depressione, ereditata dal padre, un uomo «stravagante», da cui, racconta il musicista, «ho preso la rigidità e il narcisismo… l’istinto di isolarmi… un’attrazione profonda per il silenzio… La malinconia di un’insoddisfazione costante… la misoginia nata dalla paura di tutte le donne forti, pericolose e bellissime». Ognuno di questi racconti è descritto da una canzone.
La moglie Patti Scialfa lo accompagna in “Tougher Than the Rest” e “Brilliant Disguise”, due canzoni tratte dall’album “Tunnel of Love”, l’album composto dopo il divorzio dalla prima moglie Julianne Phillips. Uno dei momenti più toccanti dello spettacolo è l’omaggio al compianto Clarence Clemons, detto anche “Big Man”, l’indimenticabile sassofonista della E Street Band. «Clarence era fondamentale, una forza della natura nella mia vita», ricorda commosso Springsteen. «Porto con me la storia che “Big Man” sussurra nell’orecchio e nel mio cuore ogni notte, quando cammino sul palco». E Bruce attacca al pianoforte “Tenth Avenue Freeze-Out”, la canzone che racconta la storia della formazione della E Street Band, «un brano che mi riporta indietro all’Upstage Club, il vero luogo di nascita di Garry Tallent, Clarence Clemons, Danny Federici, e di centinaia di musicisti con cui ho collaborato». Il segreto della E Street Band? «Per lavorare non servono pezzi di carta, ma tutto il cuore. La E Street Band è un collettivo con un codice d’onore… Le bande vengono in cerca di lampi e tuoni… una comunione di anime… il vero rock’n’roll non morirà mai».
DALLA CASA BIANCA AL TEATRINO. Springsteen ha concepito questo spettacolo interamente da solo. Il suo manager, Jon Landau, non era a conoscenza finché il Boss non lo ha presentato alla Casa Bianca il 12 gennaio 2017, in una delle ultime settimane in cui il presidente Barack Obama era in carica. Nell’East Room di fronte a circa 250 persone, il cantante ha steso dei fogli di carta sul pavimento di fronte a lui e ha eseguito un concerto di quindici canzoni per chitarra acustica. «Non sapevo cosa avrebbe fatto», racconta. Quella notte è nata l’idea: bisognava poi trovare un’ambientazione intima a Broadway per presentare questo spettacolo. «Bruce era già stato a Broadway», interviene il tour manager George Travis. «Poi io e lui siamo andati in tre sale: lui saliva sul palco, camminava intorno e si sedeva in vari posti come faceva nelle arene». La scelta ricadde sul piccolo Walter Kerr Theatre.
Le quasi due ore e mezza di “Springsteen on Broadway” potrebbero essere più vicine alla performance art, piuttosto che a uno spettacolo di Broadway. Certamente non è un concerto, anche se la parte finale può apparire tale, perché alcuni brani non hanno presentazioni. E si conclude nel modo in cui finiscono spesso i suoi grandi concerti, con “Land of Hope and Dreams” e l’inevitabile “Born to Run”.
IL BACKSTAGE. Alla fine dello show Springsteen è stanco, ma non fisicamente esausto come dopo le maratone di arena e stadio. Nel camerino c’è un divano in pelle marrone e un tavolino da caffè scassato. Inchiodata sopra il divano c’è una bandiera americana sbiadita, quarantotto stelle e un filo di luci bianche sull’albero di Natale. La superficie del grande specchio è scandita da fotografie, proprio come potrebbe esserlo la parete della camera da letto di un adolescente. Tra le tante immagini: John Lennon nella sua maglietta “New York City”. Un giovane Paul McCartney. Patti Smith. Johnny Cash. Sono, indica Springsteen, «gli antenati». Sono i suoi talismani, come Elvis Presley. L’origine della storia del rock. L’inizio di una avventura, quella del Boss. Era una domenica sera del 1956, e Springsteen, che ha quasi sette anni, è seduto davanti al televisore con sua madre, Adele, nel salotto della piccola casa di quattro stanze a Freehold, nel New Jersey, che condivide con i suoi genitori e sua sorella. È la notte in cui vede Elvis Presley. «Mi insegnò che dovevo rischiare per essere me stesso» ricorda Bruce.
Lo spettacolo «è una storia di formazione» spiega. «Voglio mostrare il percorso per guadagnare la maturità. Ci vuole consapevolezza di sé, un desiderio di raggiungere quell’obiettivo. E la volontà di affrontare tutti gli elementi terribili e pericolosi della tua vita – il tuo passato, la tua storia – che devi affrontare per conquistare le tue libertà. Questo è lo spettacolo… Sono io che recito la mia “canzone di me stesso”».
«Questa esperienza sfida i confini del teatro, dei concerti e dei film e darà al nostro pubblico globale uno sguardo intimo su una delle più grandi icone culturali del nostro tempo» ha dichiarato in un comunicato stampa Ted Sarandos, responsabile dei contenuti di Netflix che il 16 dicembre trasmetterà lo show. «Lo scopo del film è quello di portare questo spettacolo incredibilmente intimo all’intero pubblico di Bruce», ha aggiunto il manager di Springsteen, Jon Landau.
IN ARRIVO NUOVO DISCO E TOUR. “Springsteen on Broadway” è la storia dell’ultimo eroe del rock, di un uomo di 70 anni che si confronta con il suo passato in un modo unico. L’incrocio perfetto tra Elvis e Dylan venuto dal New Jersey per mostrarci per intero la mappa del dna musicale americano, descrivendo come nessun altro il rovescio del sogno a stelle e strisce. È l’ammiratissimo sex symbol fasciato nei jeans sulla copertina di “Born in the U.S.A.”, il menestrello che scende la scalinata del Lincoln Memorial per incoronare Obama, l’equivalente musicale delle ali di pollo fritte e del motto “E pluribus unum” inciso sullo stemma nazionale. Racconta l’epopea della working class, spiegandoci che la storia è fatta di tante storie comuni, che gli eroi sono in realtà la gente comune. La gioia, l’amore, sono a volte intrisi di una tristezza che sconsacra la finzione.
È raro che un artista racconti la propria storia in maniera così intensa e dettagliata. Come in tante delle sue canzoni (“Thunder Road”, “Badlands”, “Darkness on the Edge of Town”, “The River”, “Born in the U.S.A.”, “The Rising” e “The Ghost of Tom Joad”, per citarne solo alcune), in “Springsteen on Broadway” ritroviamo l’ispirazione di un autore unico e la saggezza di un uomo che ha riflettuto a fondo sulle proprie esperienze.
Da questa avventura è nato un album che vedrà la luce nel 2019. «Più che un lavoro solista, è un album da cantautore» ha annunciato in una intervista al Sunday Times parlando del prossimo disco che fa seguito ad “High hopes”, risalente al 2014. Ma niente tour, almeno per il momento. «Speriamo di tornare presto da voi» ha detto in un tweet, precisando che in ogni caso «la E Street Band non sarà in tour nel 2019». Ed ha aggiunto: «Prima di tornare al mio lavoro di tutti i giorni (ovvero i tour, ndt), andrò un po’ in vacanza e poi mi dedicherò ai vari progetti in studio ai quali sto lavorando. Là fuori saranno regolarmente in tour alcuni E Streeters coi loro progetti solisti, che amo e che meritano il vostro supporto».
Niente politica all’orizzonte, nonostante «i democratici non abbiano per ora un candidato efficace che possa parlare la stessa lingua di Trump. Non vedo nessuno che possa batterlo», ha commentato in un’intervista all’Esquire. «Io presidente? No, no in alcun modo, in nessuna forma. Sarei terribile» scoppia a ridere. Molto meglio Boss del rock.