Nel tutto che cambia, nel sistema dell’arte spettacolarizzato continua a esserci spazio per la ricerca e la sperimentazione. I confini dell’arte si sono allargati a dismisura e i riferimenti sono sempre più ampi, così negli anni è diventato difficile delineare a tinte forti la figura dell’artista. Nello sbiadimento dell’arte visiva nella comunicazione immediata non si riesce a riconoscere l’intellettuale che liberamente esprime con il suo canone un punto di vista da colui che rincorrendo mode e convenzioni è diventato “schiavo” del mercato. Con Rodolfo Papa, firma autorevole di Pickline e uno dei più importanti maestri del Figurativo Contemporaneo, abbiamo visitato in anteprima la sua mostra di pittura, che inaugurerà venerdì 21 dicembre gli spazi espositivi ricavati all’interno delle Officine Green Garage di Roma destinati ai giovani artisti, riflettendo su come è cambiato il rapporto dell’artista con l’arte.
Per il sociologo americano Eliot Freidson il prodotto del lavoro dell’artista, per quanto distante dal mero calcolo economico, non poteva prescindere dal mercato. Sembra essere così anche nella sua visione “dell’artista contemporaneo”?
«Sì, nella mia mostra che inaugura il nuovo spazio espositivo Green Garage di Roma ho voluto rimarcare le differenze che separano l’artista di oggi sempre più attento e pilotato dalla domanda del mercato dall’intellettuale del passato. Così come si vede nell’opera “L’artista contemporaneo”, l’artista oggi è diventato una scimmia ammaestrata nelle mani di imprenditori, critici d’arte e galleristi. Non c’è più né la bellezza, né l’arte, ma una nuova professione resa funzionale al mercato».
Cosa si può fare per recuperare il ruolo dell’intellettuale?
«Come mostra la tela “L’artista”, il vero artista è colui che lavora seriamente come ci ha sempre raccontato la storia dell’arte. L’ho voluto rappresentare velato, coperto da un drappo, perché di lui non si sa nulla neanche il volto. Ho voluto conferire all’artista una dimensione sacra che credo sia uno degli elementi più importanti dell’arte da riconquistare».
Un rapporto tra l’arte e la divinità che ritorna nelle sue opere, in particolare nelle teofanie.
«Ho voluto dedicare una parte della mia esposizione ai paesaggi che mi piace chiamare con il termine teofanie, in quanto manifestazioni di Dio. Perché attraverso la natura, la luce, la bellezza l’uomo entra profondamente in contatto con il Creatore. Tutta l’arte occidentale, e quella cristiana in particolare, sottolinea questa dimensione della teofania che io sto cercando di riproporre e rielaborare in chiave contemporanea.
C’è poi un piccolo nucleo di dipinti intitolati “Sulla strada” che riprendono un tema cristiano.
«Sono due dipinti che fanno riferimento alla pittura “On the road”. In una accezione tipicamente occidentale e cristiana la strada, il cammino che si fa per raggiungere la meta, è metaforicamente la vita, ma anche l’arte e la natura. Una dimensione epifanica della realtà vista con gli occhi dell’artista che coglie i segni e i significati delle cose che incontra lungo la strada».
Dopo questo viaggio nella sua arte arriviamo, infine, al dipinto più importante della mostra che parte da una lettura dell’enciclica “Laudato si” di Papa Francesco.
«È un dipinto a cui tengo particolarmente perché nella dimensione pubblica della mia opera ha segnato un momento fondamentale per un impegno sociale e politico dell’arte. “I Cavalli” l’ho dipinto su una tela di 2x 2,60 metri partendo dai temi ecologici che propone l’enciclica “Laudato si” di Papa Francesco, cercando di far comprendere che è ancora possibile una inversione di rotta, un cambiamento che faccia abbandonare il consumismo come religione unica del mondo contemporaneo per arrivare a riscoprire la dimensione più profonda delle cose. Una speranza che ho e che ho voluto rappresentare con il sole che sorge sempre dopo un’alluvione e con la vivacità del giovane puledro contrapposta alla stanchezza del cavallo anziano».