Gli iscritti dal M5s hanno approvato tutte le cinque modifiche all’organizzazione del partito proposte da Luigi Di Maio e messe al voto sulla piattaforma Rousseau, compresa la novità del cosiddetto “mandato zero” per consiglieri comunali e provinciali. In totale, sono state oltre 123mila le preferenze espresse per tutti i cinque quesiti messi al voto dal capo politico del M5s, come annunciato sul Blog delle Stelle che ha reso pubblici i risultati della consultazione: «Per i 5 quesiti sono state espresse in totale 123.755 preferenze. C’è stata una grande partecipazione nel corso di questi due giorni e in molti hanno votato anche nella fascia notturna, il che dimostra che l’idea di ampliare la fascia oraria per permettere a tutti di partecipare e di avere il tempo necessario per approfondire è stata particolarmente utile e apprezzata».
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Ovviamente nessuno si aspettava una bocciatura, ma si intravede uno spiraglio di dissenso: il 32% dei circa 25mila votanti ha detto “no” al mandato zero per i consiglieri comunali e il 39,4% si è espresso contro la possibilità di candidarsi durante il secondo mandato e di interromperlo in caso di elezione. Ma contrariamente a quanto si legge sul Blog delle Stelle, e nonostante l’ironia virale sui social, la consultazione ha interessato poco: se è vero che gli iscritti alla piattaforma sono 100mila, ha votato appena un quarto degli aventi diritto. Circa 25mila votanti per ogni quesito. Segno che il cambiamento è già in atto: da movimento nato sul web a partito a tutti gli effetti in soli 10 anni. La creatura politica fondata nel 2009 da Beppe Grillo e da Gianroberto Casaleggio oggi è al governo, anche se non da sola, e ha dovuto derogare “da contratto” a tante regole. E così si è passati dal «mai più a governi non eletti» ad un esecutivo guidato da un presidente del consiglio che non era candidato, dal «mai alleanze con i partiti» al contratto di governo con la Lega, dal «mai in televisione» alle ospitate nei salotti di Bruno Vespa e Barbara D’Urso.
C’era una volta un Movimento che tuonava contro la casta e i partiti tradizionali e predicava la democrazia diretta. Da qui la necessità di dotarsi di un’organizzazione fondata sulla distinzione dalle forze classiche, anche linguistica: un “non statuto”, nessuna sede fisica, i meetup al posto delle sezioni sul territorio, la Rete (e il blog) come faro, il mito dell'”uno vale uno”, gli eletti chiamati “portavoce” per evitare l’odiato “onorevole”. C’era una volta un Movimento che diceva no alla Tav e no al Tap, che prometteva di chiudere l’Ilva, che voleva le dimissioni anche in caso di avviso di garanzia.
C’era una volta un Movimento basato sul divieto di due mandati, proprio per marcare la differenza tra sé e tutti gli altri. «Il Movimento è una comunità di cittadini fondata su delle regole. Sono poche, chiare e semplici. Proprio per questo inamovibili. Una delle regole fondanti è quella dei mandati elettivi a qualunque livello. Consigliere comunale, sindaco, consigliere regionale, parlamentare nazionale ed europeo – scriveva Grillo in un post – Questa regola non si cambia né esisteranno mai deroghe ad essa. Ogni volta che deroghi a una regola praticamente la cancelli, diceva Gianroberto». Oggi cambia eccome, anche se per ora riguarderà solo i consiglieri comunali. Una giravolta talmente eclatante del M5s tanto che Di Maio è stato costretto a inventare l’espressione “mandato zero”. Le battute si sono sprecate. Ma quella più amara è stata del suo fondatore Beppe Grillo. Parodiando la canzone di Julio Iglesias “Se mi lasci non vale” ha scritto: «Il mandato ora è in corso, è il primo di un lungo viaggio… ma di andarmene a casa proprio non ne ho il coraggio». L’accusa è pesante: essere attaccati alle poltrone. Proprio loro che volevano «scardinare» la casta.